– di Martina Rossato –
Lo Straniero è una band piemontese nata nel 2014. Pubblicano il loro primo album, omonimo, nel 2016 e “Quartiere italiano” nel 2018.
È da poco uscito per La Tempesta “Falli a pezzi!”, il loro ultimo disco, uno slogan propositivo contro tutti quei pesi inutili che ci portiamo sempre addosso e che non fanno altro che ingabbiarci in pesanti sovrastrutture. L’album era stato anticipato dai singoli “Punto di Energia” ed “Animale Guida”, che sono stati uniti in un doppio videoclip diretto da Ivana Smudja.
Ho avuto il piacere di raggiungere telefonicamente Giovanni Facelli, voce e autore dei testi del gruppo, che mi ha parlato di questo nuovo lavoro in studio anche a nome di Federica Addari (voce e synth), Luca Francia (piano e synth), Valentina Francini (basso e cori) e Francesco Seitone (chitarra elettrica).
Avete partecipato a festival, nazionali ed internazionali, mettendovi parecchio in gioco. C’è un’esperienza che pensi vi abbia particolarmente segnati?
Caspita, difficile sceglierne una. Nei primi anni ti direi il format a cui avevamo partecipato, La Tempesta Gira, un festival itinerante organizzato dalla nostra etichetta. Ci aveva dato la possibilità di condividere il palco con grandi artisti che ci sono sempre piaciuti e da cui avevamo sicuramente molto da imparare; è stata l’occasione che ci ha permesso di stare su palchi importanti per la prima volta. Metterei sullo stesso piano un’esperienza che a tratti è stata più naïf, ma molto formativa: un mini tour che abbiamo fatto a Londra. Siamo partiti con un monovolume carico di strumenti, noi cinque e abbiamo fatto Londra in una settimana. Quell’esperienza ci ha aggregati ulteriormente, ci ha uniti come gruppo. È stato bello e formativo! Suonando in piccoli club nel centro di Londra, abbiamo avuto a che fare con un pubblico completamente diverso, è stato impattante.
Bellissimo! Tutto molto hippie. Quando è successo?
Uh guarda, ho poca memoria storica. Ti direi nel 2017, ma non sono sicuro. Sì, ti direi primavera del 2017.
Quindi comunque abbastanza all’inizio: siete una band che esiste dal 2014, cosa è cambiato da “Speed al mattino” a “Falli a pezzi!”. Che viaggio avete fatto?
C’è stata un’evoluzione! Siamo cambiati – ed è un bene – seguendo una linea; non a caso, quest’ultimo disco chiude una trilogia che parte da uno spunto artistico e creativo a noi molto caro: il tema della fuga. È un tema che ci ha accompagnati dalle origini e che probabilmente rimarrà sempre nella nostra scrittura e nel nostro mood.
Musicalmente, abbiamo cercato di evolvere e sfruttare al meglio le formule che già ci interessavano e ci piacevano. Già nel primo disco c’erano degli episodi che richiamavano non ti dico il trip-hop, ma comunque certe cose più elettroniche più “paesaggistiche”, passami questo aggettivo. C’erano invece dei brani tirati, con un’attitudine molto più electro, molto da dance floor – come ci hanno detto in tanti. Noi non ci poniamo limiti da questo punto di vista; ci piacciono i dischi eterogenei e crediamo di avere una nostra identità, ma non vogliamo fare musica che sia sempre uguale a se stessa. Cerchiamo di evolvere e trovare strutture in cui ci sentiamo a nostro agio, sperimentando in continuazione ed andando sempre oltre.
Sì, rivedo tutto quello che mi stai dicendo nelle vostre canzoni!
In “Milano-Sanremo” mi sembra di vedere un po’ di paura di uscire, mostrarvi, come se aveste davanti a voi un limite. Dall’altro lato invece mostra una voglia incredibile di spaccare tutto, fuggire, liberarsi.
Mah, in realtà quel brano lì è stato scritto in un momento particolare, in cui il confine non era più un confine immaginario ma nemmeno reale: la canzone è stata scritta nel mezzo della pandemia e il confine era diventato quello della porta di casa.
Noi siamo proprio in mezzo alla Milano-Sanremo, abitiamo vicino al Passo del Turchino, che da qualche anno è diventato un passaggio importante nella gara ciclistica. La canzone parla di quella sensazione lì: per noi che viviamo qua, come dice Paolo Conte, nella immobile campagna in Piemonte, poter andare anche solo al mare era diventata una roba lontanissima. Forse ne parla in maniera poco diretta, perché non ci piace scrivere di attualità o di argomenti “da titolo di giornale”. Comunque sì, il primo confine era quello di casa: tra zone rosse e lockdown da lì non ci si poteva muovere.
Devo dire però che in quel periodo abbiamo avuto un bello slancio. Luca ha buttato giù una bozza della base, ed essendo appassionato di ciclismo l’ha intitolata un po’ a caso “Milano-Sanremo”. Io da lì ho iniziato a pensare a tutte queste suggestioni, al fatto che non potessimo andare nemmeno ad Albissola, che è a due passi da casa nostra.
Mi sembra interessante che da un titolo così random sia venuta fuori una cosa più profonda.
Hai colto, esatto, è proprio quello!
“Falli a pezzi!”: volevo parlare di questa canzone, che dà anche il titolo al disco. Falli a pezzi chi, cosa e perché?
“Falli a pezzi!” lo puoi leggere in vari modi. Sicuramente la prima lettura, che è quella che ci ha convinti ed è il senso della titletrack, è l’esortazione. È un dire – come in “Milano-Sanremo” – spacchiamo tutto, in senso positivo, distruggiamo per ricostruire. Arrivavamo da due dischi, tantissimi concerti ed esperienze. Ci siamo dovuti fermare in un periodo particolarmente buono, per una cosa molto più grande di noi – come chiunque nel mondo, d’altronde.
Abbiamo pensato che fosse il momento di distruggere anche un po’ di gabbie e fardelli, fare a meno di pesi e sovrastrutture che ci bloccano, che alla fine sono ansie ed altre cose di cui potremmo serenamente fare a meno. Magari sono anche cose che hanno avuto un peso positivo in passato, ma che a un certo punto è bene mettere da parte per guardare altrove.
Certo che “Falli a pezzi!” se lo leggi in un’altra maniera un po’ più cattivella è anche la dichiarazione di un fallimento che comunque c’è stato. In senso molto generale ed esistenziale eh, è sempre bene rendersi conto di ciò che si è fatto e che magari non tutto era okay. Da una cosa negativa, da tanti piccoli frammenti si può ripartire e creare un’immagine nuova.
Che poi è anche un po’ il concetto ripreso dalla copertina.
Esatto, esatto. Il concept della copertina, che è stato realizzato da Valentina, la nostra bassista, richiama questo. È anche un po’ uno spronarci e spronare tutti a farsi forza nel costruire un’immagine nuova. Condividendo le cose, stando insieme, si è anche più forti. Dividendosi, no.
Come avete vissuto a livello di scrittura e composizione il periodo del lockdown?
Non ti nego, è stato un periodo produttivo per noi. Se siamo qui oggi con un disco, che sta ascoltando un bel po’ di gente, con dodici concerti davanti tra luglio e agosto… per noi il bicchiere è mezzo pieno, perché è il frutto del lavoro di quel periodo lì. Non siamo riusciti a stare con le mani in mano, anche se capisco che tanti siano stati bloccati da quello che è successo. A noi è successo l’esatto opposto: abbiamo fatto uscire quest’album, ma abbiamo materiale per più di un album. Non è stato tutto rose e fiori, ovviamente i momenti difficili ci sono stati.
Ci siamo organizzati per continuare a vederci nonostante le zone rosse e il lockdown, perché questo per noi è un lavoro e volevamo portarlo avanti. Seppur a pochi chilometri di distanza, eravamo lontani. Ci siamo trovati tutti e cinque in una casa in campagna, dove suoniamo e abbiamo la sala prove. Non potendo condividere quello che facevamo col resto del mondo è stato anche pesante a tratti, però siamo riusciti ad essere qui, adesso, con tutti questi concerti e con tante persone che ci ascoltano. Insomma, siamo molto contenti. La creatività è andata fuoco: andava velocissima, abbiamo prodotto tanto.
È ottima questa cosa, sei una delle pochissime persone che mi racconta di avere vissuto bene il lockdown!
Aggiungo però una cosa per non sembrare persone che non considerano quello che succede nel mondo esterno: abbiamo avuto e continuiamo ad avere una grande fortuna. Ripensando a “Milano-Sanremo”, noi viviamo in un posto meraviglioso, immerso nella campagna, fra boschi, colline e vigneti. C’è una bella differenza rispetto al trovarsi in pieno lockdown, in zona rossa, in centro a Torino. Quella è stata una fortuna. Scrivo i testi con Federica e le musiche con gli altri, e questo ci ha dato la possibilità di stare all’aria aperta, di avere molto spazio. Ho potuto concentrarmi sull’arte e sul processo creativo. Non è una cosa da poco.
Infatti, tutto molto “Decameron”. A proposito di “Milano-Sanremo” a questo punto ti chiedo qual è quel luogo, quella cosa, che vi fa stare bene?
Be’ sicuramente la dimensione live. Arrivando da due fine settimana con quattro concerti che sono stati strepitosi, ti posso dire che sicuramente la risposta numero uno è questa: andare in giro e suonare. Senza restrizioni, col pubblico che quasi sale sul palco o noi che scendiamo in mezzo al pubblico. Alla fine di ogni live suoniamo almeno un pezzo in acustico, scendendo in mezzo alla gente senza microfoni. Quella è una roba che ti libera e ti fa stare bene.
Dal punto di vista pratico, c’è un luogo qua vicino a casa nostra, il Canyon – all’americana – che è un luogo all’interno del fiume Olbicella. Ci sono cresciuto, la mia famiglia mi ci ha portato sempre, fin da bambino e ci passo alcune giornate d’estate, quando sono proprio cotto. Anche adesso che siamo tornati dai concerti ci siamo fiondati lì. C’è una pace incredibile, con il suono delle cicale. Io sono anche un musicoterapista e per me non c’è niente di più rilassante del suono delle cicale. Lì al Canyon hanno istituito anche un’associazione, una sorta di lido sul fiume, che si chiama “Associazione Canyon”, è un posto davvero magico. Purtroppo, lo sta conoscendo un po’ troppa gente, speriamo rimanga incontaminato.
Tornando a noi, qual è, se ne avete uno, il vostro animale guida?
Eh, caspita! Qua do una risposta mia, perché ognuno ha il suo. Ti direi che il mio è il mio cane, che ormai ha tredici anni e si chiama Jack. Però, nella canzone, in quei gatti neri rivedo i miei gatti. Abitando in campagna ne ho tantissimi e mi hanno un po’ condizionato.
La canzone non è così autoreferenziale però, non vuole esserlo. Una guida è Jack, ma un amico una volta mi disse una cosa banale, ma a cui non avevo mai pensato: quando uno è perso, anche un libro può essere un faro. Però può essere anche un incontro, una persona, una canzone, che in quel momento ti fa da navigatore. Ognuno scelga l’amuleto portafortuna che ritiene più adatto a sé, anzi, più che se lo scelga, direi che bisogna cercarlo e incontrarlo, per capire qual è. Magari è l’amuleto a dare una direzione e a togliere la fatica, come dice la canzone [ride, ndr].
In che direzione vi sta portando il vostro navigatore?
La direzione è decisamente pratica, ora. Dopo tutta quella fase creativa che ti ho raccontato prima, adesso ci teniamo a fare i concerti. Quest’estate saranno tanti e ci teniamo a farli bene, a conoscere gente e conoscere un pubblico diverso. Andremo in luoghi dove non abbiamo mai suonato: questo weekend suoniamo a un festival a Vicenza, mentre fra dieci giorni abbiamo quattro date in Sardegna. La nostra direzione per il momento è quella.
Abbiamo delle idee per l’autunno e per il 2023, ma un passo per volta. Il navigatore va impostato piano piano, non bisogna impostarlo a lungo termine perché si rischia che sbaratti e che si perda [ride, ndr].
PROSSIME DATE DEL TOUR:
22 LUGLIO: San Zenone (TV), Villa Albrizzi
29 LUGLIO: Trento, Bookique
6 AGOSTO: Genuri (SU), Festa dell’Emigrato
7 AGOSTO: Domus Novas (SU), Los Locos
9 AGOSTO: Cagliari, Corto Maltese/Poetto
27 AGOSTO: Bologna, Frida nel Parco