“Fottuti per sempre”, nuovo singolo de Lo Stato Sociale con Vasco Brondi è un odioso piagnisteo, perfetto riflesso della fallimentare generazione Millennial
– di Riccardo De Stefano –
Oggi Spotify mi suggerisce che è uscito il nuovo brano de Lo Stato Sociale (uuh ma te li ricordi?) insieme a Vasco Brondi (aspetta, ma è il tipo delle centrali elettriche?).
Il brano già così odora di nostalgia del decennio passato, ma basta premere su play per lasciarsi ingurgitare da “Fottuti per sempre”, il triste racconto della mediocrità dell’indie italiano.
Il brano, nei suoi cinque minuti, ripercorre in maniera pressoché autobiografica l’avventura de Lo Stato Sociale, della sua partenza alternativa dal basso fino ai palazzetti e a tutto il circuito di successo che li ha visti arrivare a Sanremo (come band) e a X Factor (come Lodo, in sostituzione di Asia Argento in realtà).
FOTTUTI PER SEMPRE, DA CHI?
“Volevamo riempire i palasport di musica fatta
senza soldi in una stanza
e quando ci abbiamo suonato davvero
avevano il nome di una banca
volevamo vivere di sogni
fare l’amore con i nostri mostri
ed ora la paura che ci tiene svegli
è finire dalla parte sbagliata di un gossip
odiavamo la televisione, la radio, la musica pop, il successo
ora vogliamo l’alta rotazione, la poltrona di giudice ad X Factor“
Una sorta di “rise and fall” in cui alla fine ci si è svenduti ma perché si era giovani e romantici e si pensava di riscrivere il mondo cancellando le scrittine a matita. Nel ritornello arriva anche un sottile scherno ai Måneskin con quell’amara consapevolezza che “il rock and roll” non morirà perché è già morto, nel momento in cui avete firmato le brandizzazioni e i contratti di esclusiva.
Quando pensi che questo piagnisteo non possa andare peggio, ecco che arriva Vasco Brondi e fa quello che sa fare meglio: dire banalità retoriche. E così la canzone si avvia alla sua conclusione.
“volevamo cambiare tutto non riempire un altro vuoto di mercato
andavamo a un concerto sconvolti come un rito sciamano
e alla fine dormivamo alla stazione
pensavamo che la vita sulla terra
non dipendesse da come andavano i sistemi economici e politici
ma dal brillare del sole
eravamo giovani, giovani o pazzi
ma avevamo ragione”
Se almeno Lodo ha avuto la dignità di non riservarsi una posizione di superiorità romantica e farlocca, ci pensa Brondi a dirci che eravamo PAZZI e AVEVAMO RAGIONE. Ma pazzi di cosa e ragione su cosa?
UNA GENERAZIONE DI FALLITI
Fino a ieri, ero convinto che la differenza tra la mia generazione, quella dei cosiddetti millennial, e i nuovi giovani, ancora per poco, della generazione Z, fosse che quest’ultimi si fossero fiondati nel mondo volendo subito e senza vergogna soldi, successo e fama a discapito di qualsiasi velleità artistica. La verità è che non è mai stato così.
Anche tutta la scena indie, quella che “veniva dal basso”, dai piccoli localini, dai club anonimi da 300 persone, non vedeva l’ora di levarsi via dalla pelle il puzzo stantio di sudore. Tutta la SCENA INDIE viveva quel circuito odiandolo e detestandosi, domandandosi se e come avrebbe potuto sfondare, raggiungere il grande successo commerciale, piacere anche alle ragazzine e non solo ai ventenni puzzolenti e pelosi, sfigati inutili.
La verità è che tutti voi, ormai attempati trentenni più vicini ai quaranta che a quando frequentavate l’università non vedevate l’ora di compromettervi, di vivere di inviti ai backstage, di ospitate, di chiudervi in qualche privè a parlare di niente con i vostri nuovi amici posticci, a frequentare solo e soltanto chi ritenevate “cool” e a provarci con le ragazzine adoranti che cascavano nel vostro tranello finto poetico, nella vacuità insostenibile delle vostre parole e nelle vostre canzoni, fieramente disimpegnate, orgogliosamente pop.
Ci avete messo poco a passare dall’essere l’alternativa alla norma, da degli outcast a dei normie, proprio come i nerd delle serie Netflix, sempre belli e eccentrici, ma nella maniera giusta, con la foto giusta, con il carisma adatto.
Che schifo Sanremo, la tv, le radio, vero? Certo che quando ti chiamano è difficile dire di no, e forse lo sai anche tu che è una farsa e che non durerà, ma non ti importa perché per ora ci sei tu, se poi il giro di giostra finisce e tu devi scendere, almeno potrai guardare in faccia gli altri mediocri e dire che tu lì ci sei arrivato e loro no. Primus inter pares di una generazione di falliti che ha detto pochissimo, e se ne vanta.
LA MEDIOCRITÀ DELL’INDIE E LA MUSICA CHE FUNZIONA
L’indie italiano. Quel fenomeno che in due anni ha ridisegnato la discografia nostrana e che ora ci ha lasciati in mano a rapper che fingono di saper fare pop, a ritornelli insulsi e alla dittatura della coolness. Mi raccomando, trasferisciti a Milano a spendere 1000 euro per un posto letto, altrimenti non puoi stare nel giro che conta. E ricorda: il pubblico dopo 15 secondi si disinteressa del tuo brano, quindi corri subito al punto!
Perché nel momento in cui avete deciso che per riempire il palazzetto, proprio quello intitolato alla Banca lissù a Milano, serviva diventare sempre più leggeri, sempre più vuoti, bisognava parlare a tutti. Ma come? Voi che eravate riusciti a emergere proprio perché non parlavate a tutti, ma agli altri? Possibile che non lo sapevate? Possibile che non avete avuto chiaro come il pubblico di massa non abbia alcuna coscienza e alcuna capacità di ricordarsi di voi?
Sapete chi sa questa cosa? Le major. Le multinazionali. Chi nel giro grosso ci sguazza da 60 anni e l’ha costruito. E forse cambiano i nomi ma non le dinamiche. Eppure no, voi artistucoli indie avete pensato di cambiare le regole, avete detto che in fondo era un bene lasciarsi abbracciare dalla macchina, che – come diceva Manuel Agnelli, ancora rido – si potesse andare in tv per cambiare il sistema dal di dentro. Invece siete finiti a Sanremo a fare le scenette, o a X Factor a dire “quattro sì” davanti a gente mediocre. Mediocre, ma che, hey, FUNZIONA.
È proprio qui il problema, la musica che funziona. Questo ritornello pop che sentiamo costantemente dagli addetti ai lavori: “beh il pezzo funziona”. Funziona per chi e per cosa? Per chi? E per cosa? La musica non è un frullatore o una lavatrice, non deve funzionare. Eppure a voi non interessava, così quando vi hanno detto – e vi siete detti – che le vecchie canzoni non funzionavano, che si poteva fare di più dicendo di meno, che si poteva essere più pop, che il ritornello doveva essere più cantabile, avete abboccato tutti. Così vi hanno messo gli autori a fianco, quelli che la musica la sanno scrivere: ecco che il testo viene limato, qui potresti dire questo invece di quest’altro, e la linea melodica adesso finalmente gira. Così la vostra canzone ora ha sette autori ed è pronta per essere servita al pubblico, nel tentativo che quei numeretti su Spotify possano aumentare, almeno per questo mese, in modo da giustificare le decine di migliaia di euro di cachet.
E ADESSO COSA RIMANE?
Rimane che siete invecchiati, siamo invecchiati. Che dovete ripartire dalle macerie dei vostri palazzi di cristallo. Che dovete imparare di nuovo a capire a quale pubblico parlare, sempre che sia rimasto. Che tutta la COOLNESS dell’essere giovani ve la potete dimenticare, e che il vostro carisma non esiste più, visto che era posticcio. È facile fare i punk a vent’anni, molto di più farlo a sessanta: ma da questo si capisce chi ci credeva davvero e chi era lì solo per i soldi.
E non pensate di essere neanche originali in questo, perché siete solo l’ennesima fregatura del sistema, l’ennesima parodia di “rivoluzione”, l’ennesima generazione che era “in it for the money” come diceva Frank Zappa 60 anni fa. Siete banali e prevedibili anche in questo.
Così, certo, potete mettervi in un angolo a piagnucolare di come le cose siano cambiate, di come la musica oggi sia brutta e di quanto il sistema cattivone vi ha masticato e digerito, per espellervi dal buco meno nobile del corpo discografico. Pensate se solo aveste voluto costruire qualcosa di sensato, pensate se aveste soltanto provato a mantenere una coerenza e una identità. Pensate se semplicemente non aveste accettato qualsiasi cifra pur di salire quel gradino, se aveste avuto il coraggio di affrontare le cose diversamente.
Chi si è salvato? Chi, come Niccolò Contessa, ha saputo rimanere coerente, e quelle buste in faccia non erano hype immotivato, ma la voglia di non farsi divorare dalla macchina. E per questo, fortunatamente, qualcosa resterà e non sarà di certo una popstar.