Quest’anno il festival è stato il protagonista del weekend dei romani
(e non solo)
– di Naomi Roccamo
foto di Liliana Ricci –
“Non è più quello del Guido Reni District e del Maxxi”, “Non è solamente elettronica”. Bla bla bla.
I fedelissimi dello Spring Attitude, tutti quelli che lo frequentavano in tempi effettivamente primaverili, si sono mostrati scettici per questa edizione decisamente innovativa: a cominciare dalla location comunque suggestiva, gli studios di Cinecittà immersi in una finta atmosfera da impero romano e continuando per il periodo ormai ventoso e bisognoso di giacchette e pantaloni lunghi vari, il festival della sperimentazione musicale si è dovuto adattare. L’anno scorso ci eravamo lasciati all’ Eur Social Park, un appuntamento sicuramente più modesto e meno esplosivo del clamore di quest’anno.
La recente line up, spaccata fra la serata “omaggio” del 15 settembre con S/A Soundsystem, Ginevra Nervi, Pitch3s, The Ladder Cloud Thing, Todd Terje e Cheri) il 16 e il 17 settembre prevedeva alcuni fra i protagonisti di Sanremo degli ultimi anni, artisti internazionali e nomi cari alla storia del festival. Una programmazione fino dal primo sguardo versatile inclusiva, per alcuni un po’ troppo standard e poco ricercata, che probabilmente spiega il sold out di entrambe le serate e strappa lo SA a quella nicchia che lo aveva animato fino a ora.
A inaugurare il Molinari Stage, mentre Il Genera Stage era presieduto da 72 – Hour Post Flight, Centomilacarie, che forse eravate già adocchiato in apertura da Gazzelle, seguito da ditonellapiaga, che proprio durante la scorsa edizione aveva già conquistato gran parte dei suoi fan romani e quest’anno si esibisce nel suo (abbiamo capito) look preferito, ossia shorts di jeans t-shirt bianca e stivaletti, regina di casa sua e super energica per un pubblico arrivato relativamente “presto”, poco caloroso, forse nemmeno la meritava (però li ho notato Maccio Capatonda ballare “Repito” e tanto basta).
Si corre da un palco all’altro, scegliendo chi inevitabilmente sacrificare e chi prediligere, i più pronti si sono già spostati dall’altro lato per Iosonouncane: chi lo conosce sa, chi non lo conosceva fino a quel momento ne è incuriosito. Ma è quando tocca a Fulminacci nell’ultima data del tour a casa sua, che si capisce chi è il più “colpevole” del tutto esaurito: molti sono lì per la prima volta e la folla impazzisce completamente durante l’arrivo a sorpresa di Willie Peyote per “Aglio e Olio”, ma soprattutto per “Salirò” cantata con Daniele Silvestri.
Non è un pubblico andato lì per scoprire, è un pubblico che arriva per trovare quello che vuole e questo si percepirà per entrambe le sere.
Con Cosmo viene fuori l’essenza clubbing della serata, i drink che volano, le spinte che fanno altrettanto, ma si perdona sempre chi fa ballare così. Prima del dj set lo si vede ballare in mezzo a noi, come ha fatto in altre occasioni: si capisce quanto avrebbe continuato a fare quello per tutta la sera. C’è chi si trattiene fino ai Red Axes e a The Blessed Madonna, Miss Marea, e si fa dare la buonanotte dal suo remix di “Let It Happen” by Tame Impala
Il giorno seguente sono un po’ tutti nel mood, ancora più selvaggi. Finalmente assisto a un live dei Post Nebbia e scopro l’incredibile somiglianza fra il cantante e Kurt Cobain: sono bravi, ma lo intuivo già, e suonare per primi davanti a un terzo del pubblico previsto non è piacevolissimo.
Le persone in lista d’attesa per accedere erano quattromila, eppure le file per i bagni chimici, l’alcol e soprattutto il cibo, fanno quasi credere che in realtà siano riusciti entrare tutti. Inutile dire che i bisogni corporei in occasioni del genere siano completamente oscurate dalla musica e dalla voglia di ballare, o almeno bisogna augurarsi che sia così, visto che una disorganizzazione del genere non ti permette di soddisfarli. Le pause dunque non esistono, chi ci va per due sere di fila lo sa bene, l’intervallo fra un live e l’altro è “fare la baldoria”.
Comunque se Whitemary comincia suonare è difficile non iniziare a muoversi, se Marco Castello dice “mi hai disegnato un cazzo sul diario”, è normale dargli attenzione (funziona sempre).
I Calibro 35 sono quality e lo dimostrano benissimo suonando Mr. Morricone e facendoci cantare a un concerto “Se telefonando” di Mina, cosa per cui gli saremo sempre grati. Non accompagnano però Venerus nella loro “Sei acqua”, ma lui e la sua banda de L’estasi degli angeli, nome del mistico tour estivo a più di un anno di distanza da Magica Musica, dimostrano di farcela alla grande da soli con il loro mix di sonorità dal rap al jazz. A proposito di jazz subito dopo suonano i Kokoroko da Londra.
Gli headliner sono senza dubbio i Nu Genea e tutto l’entusiasmo che si è creato con loro, una performance infinita che non li voleva più giù dal palco e una Fabiana Martone immensa nelle sue ali blu. A chiudere questa festa infinita la dj berlinese Ellen Allien.
Forse è proprio la versatilità di un festival che ha, volente o nolente, un po’ cambiato forma l’unica headliner protagonista. Impossibile non incrociare volti noti nella scena musicale (e non) romana e artisti vari. Questo perché vince sempre la moda dello snobbare facile, ma poi a chi non partecipa, guai a chi si perde l’evento del mese. Roma, un po’ per fede e un po’ per gioco era in gran parte lì e anche quest’anno è andata così: bene o male l’importante è che se ne parli (e si partecipi).