Il piatto di giovedì scorso – preparato con cura da ExitWell, Discover e Cheap Sound – sarà risultato particolarmente gradito non solo ai buongustai, agli intenditori, ma anche a chi possiede semplicemente la facoltà di gusto. Quella ce l’abbiamo tutti, diceva più o meno Kant. Va solamente coltivata. Al Le Mura l’hanno tenuta in allenamento i Mary in June, ormai riconosciuti come una delle realtà più valide e promettenti di tutto l’ambiente indie (e non solo) italiano.
Prime cose da segnalare. Innanzitutto la gioia sincera nel sapere che la band romana, anche se ogni tanto va in letargo, torna regolarmente a farsi vedere! Chiariamo subito, ancora nessuna traccia del nuovo album, sul cui parto più faticoso della storia della musica scherzano anche loro. Se lo possono permettere. In uno dei loro habitat preferiti – appunto Le Mura – hanno buttato via le tossine accumulate negli ultimi mesi di astinenza da palco, dando l’impressione di aver riassaporato la bellezza di suonare Live. E tutti noi che abbiamo riempito il locale, abbiamo riscoperto la bellezza di ascoltarli come se fosse la prima volta. Ma andiamo per ordine.
L’apertura della serata viene affidata ai Dallas (band in cui milita il primo bassista proprio dei Mary in June), i quali ci fanno entrare con discrezione in stanze dall’arredamento elegante ma desolate, tra briciole e bottiglie di gin vuote, come a prepararci prima che arrivi il maremoto in June a spazzare via tutto e a riportare alla luce la città che un tempo era blu. Delicati come quando ‘pioviccica’ ma profondi come una cascata, questi ragazzi un po’ cresciutelli hanno lo slowcore nel sangue e tra rimandi a Cure e My Bloody Valentine (però il batterista sembra uno dei Weezer) portano a termine il loro viaggio ipnotico e sospeso, in cui anche la voce stanca del cantante sembra essere fatta apposta per esprimere la più completa rassegnazione. Dimessi e nostalgici, scivolano via sui muri delle Mura.
Intanto il pubblico è arrivato in massa per gli headliner. I Mary in June esordiscono con uno dei loro marchi di fabbrica: l’arpeggio slow del cantante e chitarrista Alessandro Morini che introduce “Nuova fine”, traccia presente nel prossimo lavoro, e fa accapponare la pelle. Senza pietà entra poi la batteria guidata come uno schiacciasassi da Marco Compagnucci, insieme alle linee armoniche sempre azzeccate di basso e tastiera firmate Enzo Litro e Aron Carlocchia. I quattro si scrollano subito di dosso la ruggine dei mesi trascorsi per lo più in sala prove, e torturano l’anima senza sosta con i brani di Ferirsi, inframmezzati dai nuovi pezzi non ancora resi pubblici (purtroppo), in cui salta all’orecchio una presenza leggermente più decisa di elementi elettronici. Lacrime scendono timide con “In fondo al mare” e “Un giorno come tanti”, mentre durante “Il giardino segreto” viene realizzato un bellissimo video collettivo coordinato da Paoloreste Golfo e che sarà pubblicato prossimamente. C’è spazio anche per un curioso featuring insieme a Marcello Newman e Sara Di Mente, per una versione punk e quasi improvvisata di “Blues Balneare” di Marcello e Il Mio Amico Tommaso.
I Mary in June producono/comunicano emozioni di getto e a getto continuo, che proprio per questo non invecchiano, sebbene le loro canzoni abbiano ormai compiuto tre anni di vita. I nuovi pezzi invece scrosciano, colpiscono, scuotono e poi fuggono via insieme al loro ricordo, che non vediamo l’ora di fissare nel nostro lettore cd per poter anche noi ferirci (e chissà, guarirci) come si deve.
Federico Petitto
(per gentile concessione di KeepOn)