Villa Medici, aperta.
Aperta, accogliendo migliaia di persone nel suo invidiabile interno, e, non da meno, Aperta all’arte.
Arte sta per espressione, linguaggio, porta sensazioni ed accende lo spirito. E ieri sera [ndr: venerdì 9] era questa l’aria che circolava alla corte dell’Accademia di Francia, una location fertile, se così si può dire, dove la creatività e il non format d’espressione vivono nel luogo già da tempo.
Quando il sole sta oramai calando,e per chi non lo sapesse, la Villa offre uno dei panorami mozzafiato più invidiati della capitale, ecco che Dagger Moth apre le danze.
Forse per curiosa coincidenza, o per astuta scelta tecnica, Sara Ardizzoni, in arte Dagger Moth, riesce al meglio a cullare la discesa del sole con la sua elettronica crepuscolare, traghettandoci tra ambienti melanconici a spazi piú minimali, dove il riverbero della sua chitarra si infila armoniosamente sopra a ritmiche minimali.
Segue rimanendo in tema YOUAREHERE, trio elettronico tutto romano, che regala al pubblico sempre piú crescente un ondata sonora cinematografica, un ambient evolving alla Jon Hopkins dettato da ritmiche glitch e voci sequenziate, loop distorti e slice temporali che sicuramente soddisfano gli avant-guardisti della musica sintetica.
A queste sonorità europee entra di prepotenza ma con ineguagliabile classe Keziah Jones, accompagnato “solamente” dalla sua chitarra. Sul palco del festival è portatore di un coinvolgente afro beat alla Fela Kuti (suo compaesano) dove la sua pennata riconoscibile sostituisce le percussioni, e di un blues afro pieno di energia che va poi a prendere forma in un lavoro decisamente più elettronico e introspettivo. È qui che la facciata della villa prende vita, la sagoma di un ragazzo si mostra sul marmo, Keziah esegue una danza melodica scoordinata sopra un tappeto di suoni distorti, che la fanno da sottofondo al lavoro di “pulitura” della facciata da parte dello spazzino virtuale, sicuramente una performance degna di nota che tiene il pubblico con la testa all’insù fino alla fine.
Accolti con clamore, dopo qualche minuto tecnico di attesa eccessivo, ecco che Ninos Du Brasil fanno scatenare il pubblico con una techno tribale, dettata ai quarti dai timpani e scandita da piatti e percussioni che il duo sa ben suonare.
Every body loves a carnival d’ altronde, come ben insegna Fatboy Slim.
Difficile mantenere l’euforia del pubblico, ma il francese Golden Bug fa del suo meglio suonando live V.I.C.T.O.R, lavoro dello scorso anno che propone un quadretto deep house contornato da giochi di forme e luci a più dimensioni, un opera fluida e mai banale messa in atto da Desilence Studio.
Mentre The Avener si prepara a porre fine al festival di quest anno, i ragazzi di Chemical Bouillon sono autori dello spettacolo visivo proiettato sulla facciata principale della location, che non passa inosservato tanto che si riconoscono file di smartphone intenti a riprendere il tutto.
È infatti a parere dello scrivente la performance più interessante della serata, nel quale gli artisti tra matracci e burette filmano reazioni chimiche che regalano uno spettacolo fluido, dall’organizzazione geometrica al caos ordinato, un affascinante dimostrazione di come tutto è organico, è espressione di arte fine a se stessa, senza nessun vincolo di genere e influenza. Questo è forse lo spirito da cui nascono flussi di idee, innovazione e progresso, uno spirito che dovrebbe penetrare in ogni contesto, musicale e non, forse in misura maggiore qui nella penisola, dove le situazioni come queste non sono poi così frequenti.
Quetzal Balducci
Foto di: Gabriele Cananzi