Ritorno sempre volentieri allo Sparwasser, piccolo locale al Pigneto dal nome simpatico quanto impronunciabile, almeno finché non ti rendi conto del perché si chiami così e tutto prende un senso. È uno di quei piccoli posti a Roma che porta sempre ottimi artisti e propone iniziative di qualità di interesse sociale e culturale. Uno di quei posti che sono la salvezza della città, insomma.
Quella di giovedì scorso era un’occasione particolarmente piacevole, visto che l’artista della serata era Giorgio Ciccarelli, cantante e chitarrista (ma non solo) tra i tanti regali di quella scena milanese di fine anni ’80/’90, fucina di alcune tra le migliori proposte alternative, come i suoi Sux! o tanto per dire, gli Afterhours, di cui ha fatto parte per ben quindici anni.
Una serata non da grande pubblico e se da una parte ne guadagna la godibilità, dall’altra mi innervosisco sempre pensando a quanto il gusto dell’ascoltatore romano (mi impegno a non prenderlo ad esempio per tutta la Nazione), che magari poi affolla l’Atlantico per spettacoli diciamo “meno belli”, sia così incomprensibilmente guidato da qualcosa che, evidentemente, non è il puro gusto per la musica.
Il live offerto da Giorgio Ciccarelli è stato Musica allo stato puro e anche qualcosa di più: capace di emozionare con la performance ben oltre quello che faceva già abbastanza bene su disco. Ecco la parola che torna in mente più volte ripensando al live: più di un concerto, una vera e propria performance.
In apertura sul palco va per prima Viviana Strambelli, che chitarra e voce canta “Madre” e poi accompagna nel primo pezzo Luca Rossetti, che con l’altro ottimo musicista Luca Guidi, esegue in acustico alcune canzoni dei Shoe’s killin’ worm, quattro brani per lo più autobiografici, che riempiono l’aria di atmosfere morbide a metà tra sogno e ricordo.
Poi è il turno di Giorgio Ciccarelli e la morbidezza sparisce in un momento lasciando spazio a sentimenti di tutt’altro genere, che vengono fuori dal palco come un’esplosione e travolgono l’animo dell’ascoltatore pronto ad accoglierle. “Grinta” non basta a definirle, è di più, è rabbia allo stato puro, che sfocia in vera e propria sofferenza, trasmessa a chi assiste in tutte le maniere possibili, con la musica, con le parole, con la fisicità. Per l’appunto, una performance totale che difficilmente lascia indifferenti.
Giorgio Ciccarelli sale sul palco con Gaetano Maiorano: sono in coppia ma sembrano in dieci, con due chitarre e mille effetti, sulla voce e sulle chitarre appunto, loop station, distorsioni, synth e drum-machine. Vero rock indipendente altamente sperimentale. Ciccarelli si carica a pallettoni durante “Intro”, entra nel personaggio e non ne uscirà più fino a fine performance. Parla pochissimo con il pubblico ma suona tutto il suo disco Le cose cambiano travolgendolo di emotività. Poi scende dal palco, ringrazia tutti i presenti stringendogli la mano uno per uno, risale e suona il bis.
Già, Le cose cambiano, un disco pubblicato nel 2015 a circa un anno dall’allontanamento dagli Afterhours, presentato all’epoca dall’autore con il motto “Per rinascere, bisogna prima morire”. Viene quindi facile, volendo dare interpretazioni strettamente personali, leggerci dentro tanto di quella vicenda, dai titoli, non solo quello della title track, ai testi, passando per la bellissima illustrazione in copertina (all’interno del disco è incluso un volume che ne contiene altre altrettanto belle, una per ogni brano) di una figura d’uomo cui sembra abbiano sottratto il cuore. Ancora rabbia e sofferenza, un’opera bellissima che anche in questo caso, con l’accompagnamento delle illustrazioni, è molto più di un semplice disco.
Uscito dal personaggio Giorgio Ciccarelli torna gentile e disponibile. Compro il CD, che mi faccio anche autografare (lo faccio raramente), scambiamo due parole, mi complimento, poi è ora di riprendere la via di casa. Ma le emozioni sono di quelle che mi inseguono per strada e fin sotto le coperte, stanno lì mentre dormo, attendono pazienti il mattino e continuano a seguirmi il giorno dopo e quelli successivi. Sempre più discrete, sempre meno invadenti, ma mai spente, in attesa di rigonfiarsi e deflagrare alla prima, prossima occasione che spero davvero non sia poi troppo lontana.
Riccardo Magni
foto di Mattia La Torre