– di Angelo Mattina –
Ci sono elementi particolarmente invalsi nelle produzioni rap/trap che ormai tendono a far storcere la bocca. L’abuso dell’auto-tune, una certa predisposizione al contenuto cafonal, l’ostentazione dell’edonismo 3.0. Eppure c’è anche chi in questo (spesso) confuso calderone stilistico si destreggia con consapevolezza.
È il caso di Lazza – al secolo Jacopo Lazzarini – che con il suo secondo album Re Mida fa incetta di collaborazioni di rilievo – Low Kidd alla co-produzione; feauturing Fabri Fibra, Izi, Tedua, Luche, Gue Pequeno, Giaime, Kaydy Cain – e mette a segno un bel colpo discografico.
L’immaginario ultramoderno veicolato già dai titoli dei brani – vedi il singolo Netflix -, trova un ordine dotto negli arrangiamenti, nei i quali Lazza dà anche prova di una certa perizia al pianoforte (studiato al Conservatorio Giuseppe Verdi).
Esiste un immaginario di tendenza espresso da nuove generazioni di artisti, che a giorni alterni viene vituperato pregiudizialmente da una vecchia scuola passatista. Il rapper milanese dimostra di essere una delle personalità più valide da opporgli.