In una società dedita prevalentemente, se non esclusivamente, a trasmettere contenuti e a dar sfoggio di sé, appare centrale la questione sui ruoli e sulle responsabilità derivanti da eventuali comportamenti lesivi dell’altrui dignità e/o libertà.
Proprio l’altro giorno mi è capitato sotto gli occhi un articolo in cui la Cassazione, con la sentenza 5107/2014, poneva fine a una questione giuridica risalente al novembre 2006; sto parlando del tristemente noto caso, denominato dai media, “Vividown”. Per chi non avesse seguito la cosa, faccio un breve riassunto delle puntate precedenti: trattasi della pubblicazione, da parte di ragazzi poco degni anche di questo sostantivo, di video che riprendevano le loro violenze, verbali e non, ai danni di un coetaneo affetto dalle sindrome di Down.
Da questo caso è scaturito il primo processo, a livello internazionale, nel quale è stato messo sotto accusa il board dei responsabili di Google per il settore italiano, accusati di mancata vigilanza sul video incriminato, segnalato il 5 e 6 novembre 2006, e rimosso il 7 novembre, dopo allarme della polizia postale.
Se in primo grado seguì la condanna anche del provider, in secondo grado la Corte di Appello di Milano pronunciò l’assoluzione nel dicembre 2012.
Il principio, alla base della nuova e definitiva pronuncia recente della Cassazione, muove dall’antefatto che i reati, menzionati nel Codice Privacy, devono essere intesi come “reati propri” (con cui si indicano condotte intese come violazioni di obblighi) di cui è destinatario solo il titolare del trattamento, e non anche chiunque si trovi coinvolto nei dati, senza avere poteri decisionali.
In sintesi diventa esplicito il principio per cui l’Internet Hosting Provider, con cui si identifica il soggetto che semplicemente fornisce la piattaforma su cui gli utenti possono caricare i loro materiali, non è penalmente responsabile per contenuti immessi da terzi, se effettivamente ignaro della illiceità del contenuto stesso. In capo a lui non grava un obbligo assoluto di vigilanza, ma sicuramente una pronta reattività a segnalazioni, pronta comunicazione all’Autorità e rimozione immediata dell’oggetto della disputa.
Concludo pertanto con un monito, che vuole essere anche un consiglio: se qualcuno ha pubblicato, per esempio su YouTube, un video che potrebbe essere lesivo dei vostri diritti (di autore, di immagine, di onore), l’azione penale andrà esercitata solo verso i diretti responsabili.
Avv. Raffaella Aghemo