Sono passati due mesi dal precedente articolo di questa piccola rubrica indipendente. Avete messo su, nel frattempo, un’etichetta? Io spero vivamente di no. L’ho consigliato, è vero, e continuo a farlo, eppure sono intimamente convinto che cominciamo ad essere tanti, troppi, e poi non ci si capisce più niente.
Mi sento quindi di svelare subito la sorpresa della seconda puntata (o dell’ultima ora, come volete voi). Probabilmente il segreto dell’amore ai tempi delle etichette indipendenti è quello di creare più etichette insieme, aprirne dieci, cento, mille, e poi unirle tutte in una. Ho già spiegato che, per far funzionare le cose, il lavoro di gruppo è sempre vincente: bisogna circondarsi di giovani produttori artistici in erba, fotografi free lance, videomaker improvvisati, addetti stampa talentuosi. Allo stesso tempo bisognerebbe poi non disperdere le energie o, più schiettamente, non farsi la guerra tra poveri. Quello che manca oggi alla musica indipendente non sono le idee, non i talenti, né la bravura o un discreto successo; quello che manca oggi alla musica indipendente è la coesione. Piccole etichette che sfidano altre piccole etichette, si copiano le idee spiandosi a vicenda le pagine Facebook, si vantano di risultati discutibili di fronte ai risultati nulli dell’altra. Tutto questo per cosa? Per quale motivazione?
Personalmente credo che a Roma e dintorni si sia creata una situazione assolutamente stimolante. I Castelli Romani poi sono un incredibile vespaio di affascinanti insetti musicisti laboriosi, gruppi che tirano su un bel po’ di pubblico o, più semplicemente, gruppi che spaccano. Tutti, dai Castelli, vanno prima o poi in pellegrinaggio verso il Circolo degli Artisti, la nuova Mecca della capitale, e tutti poi si spostano al di fuori dell’Urbe per diffondere la propria musica in numerose cittadine sparse per l’intero stivale. Roma macina gruppi, c’è il Black Out, la Locanda Atlantide, il Lanificio, il già nominato Circolo; tutti prima o poi passano qui, tutti assaporano quest’aria di grande fermento.
Allo stesso tempo, tutti respirano questa aria di pesante frammentazione. Non una vera e propria realtà aggregante, ma tante piccole realtà che si spiano a vicenda. “È giusto così, è il libero mercato”, direte voi. Ebbene, io dico di no. Fondiamo un’etichetta tutti insieme. Una signora etichetta, e la chiameremo “ROMA”. La nuova major italiana, una struttura dalle dimensioni bibliche. Ci affittiamo un mega studio in centro, prendiamo tutti i gruppi cazzuti che abbiamo e li portiamo nel giro di due anni tutti ad invadere Sanremo. Una specie di nuova, egocentrica banda della Magliana, solo che noi spacceremmo riff di chitarre indipendenti.
Sarebbe bello.
A Roma ultimamente è nata Bomba Dischi. Bella, i gruppi sono molto particolari, e suonano spesso al Circolo, durante le serate de La Tua Fottuta Musica Alternativa. Poi c’è MArteLabel, con artisti che stanno avendo tantissimo seguito (e giustamente, aggiungerei). Poi ce ne sono tantissime altre, ma secondo me le vere novità degne di nota sono loro. Entrambe non sono semplici etichette, ma sono collegate direttamente alla musica live (la MArteLabel nasce dal MArteLive, come Bomba Dischi dagli stessi organizzatori de La Tua Fottuta), per farci capire come sia importante basarsi, prima di tutto, sui concerti. Senza concerti non si guadagna, non ci si fa conoscere, non si cresce. Se si è indipendenti, non si esiste proprio.
Per Rock In Progress ho intervistato Francesco Lo Brutto, proprio uno dei responsabili del MArteLive. MArteLabel, l’etichetta, è nata nel 2008 ed ha fin da subito puntato tutto sulla scoperta di nuovi gruppi emergenti e sulla loro produzione attraverso un importante lavoro di management e booking. Importante è stato creare una rete, un network vero e proprio che supportasse il lavoro attorno alle band: «questa rete che siamo riusciti a creare ci permette di muoverci senza i costi di una major. Possiamo investire sui gruppi migliori sfruttando le potenzialità di mezzi come internet. Abbiamo sempre ragionato in un’ottica collaborativa; giornali, locali, altri festival, un’unica rete che copra tutti i settori di gestione, e che non ragioni per concorrenza ma appunto per collaborazione: è questo che alleggerisce la struttura e dà la possibilità di fare sempre cose nuove, di non morire come purtroppo succede a tante altre iniziative». Non vi ripeterò quindi, visto che lo dico dal primo articolo, che dovete fare gruppo. Lavorare insieme, mettere da parte la propria misantropia, i propri scazzetti quotidiani, la propria pigrizia, e mettere su un bel gruppo di persone, che lavori in modo coordinato e preciso. Ognuno copre un settore, e lo fa nel migliore dei modi. Un lavoro del genere, svolto con serietà, non può portare altro che benefici. Le band (che devono essere selezionate ovviamente con attenzione) funzionano, girano e si fanno conoscere in tutta Italia. Di fronte ad almeno due nomi della MarteLabel, e cioè Nobraino e Management del dolore post-operatorio, dubito che voi piccoli ascoltatori appassionati di musica indipendente non addrizziate subito le orecchie. Il lavoro attorno queste band è il risultato di un gruppo di persone che lavora in modo coeso e mirato, e i risultati si vedono. Le band, di questi risultati, sono le prime a beneficiarne; ecco cosa mi ha raccontato in merito Lorenzo Kruger dei Nobraino: «prima dei contatti con l’etichetta MarteLabel facevamo già almeno un centinaio di date all’anno da soli, cercando agganci qua e là. Ovvio però che questo non può durare per sempre, a un certo punto entrano in gioco dei meccanismi e dei circuiti da cui non si può stare lontani, altrimenti non si procede».
Per far ottenere ad una band talentuosa la giusta visibilità bisogna quindi necessariamente creargli attorno una struttura funzionante e dinamica, che sia essa fatta da ragazzi come me o voi, o da esperti del settore che lavorano nel mondo musicale da anni; dopo tutto parliamo sempre di persone che la mattina si svegliano, si lavano i denti, vanno alla posta a spedire gli album ai giornali, organizzano date del tour: niente di soprannaturale. Potete farlo anche voi, basta che lo facciate bene e sul serio, e non vi sediate sul divano ad aspettare che qualcuno lo faccia per voi. Aspettare il timbro sulla fronte da una qualsiasi etichetta, che sia anche la più importante del mondo, non vi serve a niente. Il timbro sulla fronte mettetevelo voi per primi, e mostratelo in giro con orgoglio.
Daniele Coluzzi
ExitWell Magazine n° 1 (marzo/aprile 2013)
Ciao Daniele,
ho letto con molto interesse questo tuo articolo. Mi è piaciuto moltissimo lo spaccato che hai descritto, riuscendo a fotografare complessivamente la situazione partendo dalla conoscenza di varie realtà distinte. Mi son venute in mente una serie di osservazioni che ci tengo a scriverti:
Comprendo il discorso sulla “macroetichetta discografica” e capisco che era una proposta con una vena provocatoria ma che comunica il bisogno di qualcosa che abbia una certa forza, che conti. Tuttavia io penso invece all’esperienza della Beggars Group e credo che sia necessaria più una compagnia discografica che lasci una certa libertà artistica (se non l’avessi mai letta, ti invito a cercare qualche intervista a Mills) ma che in un certo senso indirizzi le etichette e si occupi della promozione e della distribuzione. Non qualcosa come Audioglobe, ma una compagnia che selezioni attentamente i lavori delle etichette pur rispettandone le identità. Che sia in un certo senso da ponte verso la critica e quel settore di pubblico, a metà tra l’indie ed il mainstream (quelli che si sentono i Mumford, per dire) che in Italia è davvero scarsamente rappresentato a livello di proposta artistica ma che muove un capitale non indifferente. Attualmente, la figura tuttofare del promoter-etichetta discografica-manager-etcetc, per quanto si è affermata e sembra funzionare con bei risultati sul territorio ed è un ponte tra etichetta e pubblico, secondo me è un prodotto del degrado delle etichette discografiche e soffre di una certa auto-referenzialità. Insomma, secondo me sarebbe giusto lasciare alle etichette il loro lavoro senza richiedere grosse variazioni rispetto a ciò che avviene. Il buco lo percepisco più TRA l’etichetta discografica ed il potenziale pubblico.
Hai giustamente parlato di MArte Laber e Bomba!, due gran belle realtà effettivamente, piuttosto significative (giustamente dici, le più significative). Leggendo il tuo articolo ho pensato comunque al fatto che la musica è un prodotto che deve portare un capitale a queste entità, altrimenti non ha senso che esistano (a differenza delle band, che esistono indipendentemente dal fatto che hanno dei passivi incredibili :D) E qui, se ci fai caso, le differenze emergono: come ben saprai MArte Laber vive prevalentemente di sottoscrizioni delle band e di sovvenzioni da parte delle amministrazioni locali, con una presenza capillare sul territorio grazie ad iniziative azzeccate (Corviale) e una promozione “vecchio stampo” (per quanto ne dicano loro, sinceramente i gruppi delle scuderie MarteLive li reputo famosi più per una massiccia presenza di manifesti nei muri delle città universitarie e dei locali, più che per una promozione sul web).
Bomba!, se vogliamo, è una realtà che io reputo più incredibile e preziosa. Per la capacità di creare un identità fortissima (quante persone dopo aver aggiunto Caucci su Facebook, le ho sentite sostituire le affermazioni di uso comune come: bello, forte, daje, ciao, arrivederci, posso avere 10 euro di benza, ti amo, cazzo, un-caffè-macchiato-grazie, t’ammazzo de botte, è uscito il nuovo album degli strokes etc. con l’affermazione “bomba” (con la “n”) Potente insomma), per riuscire vivere davvero con pochi fondi, per riuscire a riempire costantemente il Circolo degli Artisti con “la tua fottuta” (MArte Live non è sempre capace di fare lo stesso… le stesse serate del Marte sono fatte ancora in buona parte con il pubblico delle band). E soprattutto, cosa da non sottovalutare, per riuscire a rendere fico sentire la musica indipendente.
Cioè, è un etichetta che si occupa di stampare e promuovere le realtà musicali romane che funzionano, che sono “giovani ed intraprendenti”, che possono creare hype. Ma su questo non credo ci sia un reale margine di guadagno importante. Gli stessi album della bomba, sono funzionali più che altro al banchetto alla fine del live (speriamo in futuro non sia così).
In sostanza mi sento di dire una cosa: possiamo chiacchierare quanto tempo vogliamo sul ruolo che le etichette discografiche hanno oggi, ma alla fin fine non dimentichiamoci quanto sia importante il prodotto di base, la qualità reale della proposta artistica. La I.R.S., negli anni ’80, era un’etichetta probabilmente più piccola della Bomba!, ha scoperto i R.E.M. ed ha venduto in ogni luogo del mondo. La Virgin ha fatto lo stesso con Mike Oldfield, potrei andare avanti a lungo. Secondo me manca davvero un gruppo importante che possa trainare la scena. Non dimentichiamoci che il pubblico in Italia esiste, eppure i prodotti italiani vengono sovente snobbati. Sinceramente, credo (da musicisti) sia il caso di farci un po’ di autocritica: questo è un problema bello grosso.
un saluto
chissà perchè ha sostituito tutte le volte “label” con “laber”… vabbè…
ciao Andrea,
innanzitutto ti ringrazio, sono contento l’articolo ti sia piaciuto.
Hai effettivamente colto il punto dei punti: le responsabilità dei musicisti nei confronti di un pubblico presente, ma spesso poco stimolato. Possiamo mettere su altri milioni di band emergenti, a Roma e dintorni credo abbiamo ormai superato le migliaia, eppure spesso sembra di trovarsi di fronte a un cane che si morde la coda, e cioè a una infinita serie di gruppi che producono sempre la stessa roba, sempre con lo stesso approccio vecchio e stramorto nei confronti degli arrangiamenti, del sound, del modo di suonare in elettrico, e allo stesso tempo una sciatteria totale nella cura del testo, che invece dovrebbe essere il gancio che traina tutto il resto. Al contrario, chi si permette qualche sperimentazione in più, spesso cade nell’autoreferenzialità o in un odioso snobbismo. E’ questo il problema, sono sicuro anche io che il problema maggiore risieda nelle band stesse.
Basti pensare a quello che sta succedendo, al contrario, alla scena hip hop italiana, che sta vivendo una vera e propria esplosione. Dovremmo chiederci tutti il perché, noi cari affezionati rockettari, piuttosto che sparare a zero su ragazzi che (per carità, attaccabilissimi) riescono comunque ad attrarre con il proprio linguaggio milioni di giovani ascoltatori. E’ un problema di linguaggio, di questo ne sono fermamente convinto. Se imparassimo a scrivere meglio un testo, invece che soffermarci troppo a lucidarci la chitarra, forse otterremmo dei risultati maggiori. E, di conseguenza, le etichette a loro volta.
Ciao Daniele,
per il mio gusto e la mia visione personale della musica, pensa un po’, la vedo in modo diverso e quasi opposto al tuo sul discorso dei testi: secondo me invece pesa moltissimo una tradizione cantautoriale ingombrante e la volontà di dare spazio fondamentale al cantanto ed ai testi nelle canzoni, che probabilmente nel pubblico italiano sono la cosa che attira più l’attenzione, mentre invece la musica sembra essere frequentemente relegata al servizio ed all’arrangiamento delle liriche. D’altra parte i testi di moltissimi artisti osannati all’estero sono di una banalità disarmante. Secondo me è anche questo un motivo per cui all’estero siamo snobbati ampiamente.
Ma quì si entra in un discorso fortemente condizionato dalla soggettività e dai gusti… quindi ad ognuno il suo punto di vista.
Sono d’accordo invece che le soluzioni musicali sono davvero sempre le stesse, ed è davvero deprimente. Che poi, secondo me, sono quelle che 2 o 3 anni fa andavano all’estero. Quando all’estero invece questa “sudditanza” al genere o al linguaggio musicale non mi sembra di vederla. Basta vedere Pitchfork, due mesi fa hanno dato 8.4 al disco di Foxygen che musicalmente non aggiunge niente a quanto è stato fatto a cavallo tra ’60 e ’70. Un disco davvero conservatore e che in Italia verrebbe liquidato con il “già sentito”, quando in realtà è pieno di senso artistico.
Mi sembra sempre che quì in Italia invece dobbiamo essere innovativi e fare le cose “come le fanno OGGI all’estero”, pensando che basti il linguaggio musicale per nobilitare un opera e renderla innovativa in un panorama musicale, quello italiano, effettivamente piatto. Mentre all’estero, al di là del linguaggio musicale, pensano all’effettiva e reale estetica dei brani. Cioè, probabilmente al problema “tutto è stato già fatto” ci fanno due risate sopra.
Ciao Andrea,
ci tengo a precisare che MArteLabel e MArteLive non campano di sottoscrizioni visto che coprono a malapena il 5 % delle spese e praticamente nemmeno di fondi pubblici visto i ritardi cosmici delle amministrazioni pubbliche più volte denunciati da noi e da tanti altri organizzatori.
Organizzare eventi culturali significa per noi organizzare eventi PER TUTTI gratuiti o ad un prezzo popolare che spesso non basta a coprire nemmeno le spese. Se fai cultura e organizzi un festival culturale PER TUTTI il botteghino o il bar coprono circa il 40 % del costo dell’evento e servono necessariamente degli sponsor pubblici e privati, partner tecnici e qualunque altra strategia o strumento che faccia risparmiare o ottimizzare i costi di produzione e comunicazione.
Noi puntiamo tutto sulle collaborazioni e le partnership da oltre 12 anni per creare un sistema auto-sufficiente privo di logiche concorrenziali. Questo modus operandi è stata la nostra grande innovazione.
Al MArteLive poi non c’è solo la sezione musica ma ben 16 sezioni artistiche e una serie di ospiti nazionali e internazionali. Il pubblico non è quello della band ma proviene da mondi diversi che all’interno del festival entrano in comunicazione tra loro e succede che l’amico della band viene al MArteLive e scopre che il teatro è cosa buona o la pittura dal vivo è una figata, la letteratura è divertente e poi ancora danza, circo, cinema e tanto altro. Lo spettacolo dal vivo così come lo intendiamo noi è multidisciplinare e contaminato.
Succede che qualcuno viene per l’amico del pittore e scopre una band emergente che lo fa impazzire e magari il fan della band ospite scopre che ci sta un sacco di roba buona italiana. Ogni artista, ogni persona dello staff, ogni partner, ogni ospite, ogni giurato contribuiscono alla creazione di un pubblico vario e numeroso.
QUESTA E’ RETE e questo è uno dei nostri punti di forza ma mi rendo conto che un commento su un blog non è il posto ideale per descrivere bene quello che facciamo.
Credo che tu non sia mai venuto al MArteLive ma solo alle semplici selezioni musicali del mercoledì al Contestaccio altrimenti scriveresti diversamente…
Sicuramente hai visto solo una piccola parte di un lavoro fatto da più di 200 persone (quasi tutti volontari o a rimborso spese) in tutta Italia che ogni giorno lotta per sopravvivere in un paese in cui le culture giovanili sono trattate come stracci al mercato.
IL PROBLEMA VERO della musica ma anche delle altre discipline artistiche in ITALIA risiede nella chiusura dei circuiti e nell’incapacità culturale di collaborare e condividere. Questa attitudine dovrebbe risiedere in chi FA cultura (artisti, musicisti, ecc.) e in chi PRODUCE cultura (manager, organizzatori, produttori, promoter, ecc).
un saluto!
Ciao Francesco,
forse ho lasciato intendere una sottostima del fenomeno “MArte” in ciò che ho scritto e questo non rientra assolutamente nelle mie convinzioni. Nel tuo intervento c’è, giustamente, la voglia di esaltare il vostro operato sul territorio. Parole che condivido appieno, sia chiaro.
Nella stessa modalità della “sottoscrizione” o della promozione basata sui manifesti, non c’è niente di sbagliato. Anzi, ogni volta che vedo un nome che non conosco su un manifesto del MArte cerco di memorizzarlo e lo cerco sul web, è in un certo senso una garanzia.
Conosco bene gli eventi del MArte live, non sono stato solo alle selezioni della band al Contestaccio, e non ti contraddico in ciò che dici. Peraltro mi è capitato di essere stato riconosciuto in giro da gente che mi aveva visto sul parco del MArte Live, persone che erano venute a sentire altre band ma che erano rimasti piacevolmente impressionati dalla nostra proposta artistica a tal punto da cercarci sul web e riconoscerci in giro.
D’altra parte continuo a pensare che, per quanto se ne voglia, non ci sia ancora il “tipico pubblico” che frequenta costantemente le serate del MArte ma che sia occasionalmente quello della band, non solo negli eventi al Contestaccio.
Proverò a spiegarmi un po’ meglio, magari mi aiuterà a rendere chiaro quello che io, da musicista e ascoltatore, vedo e vivo.
Parli, giustamente, di collaborazione. Difatti, però, ogni serata de “La Tua Fottuta…” o di qualsiasi cosa che sia connessa a quel giro (cito ad esempio Cheapsound, Frigopop, Sporco Impossibile etc.) diventa un occasione di conoscere altri musicisti, addetti ai lavori, promuovere i propri prodotti artistici, i propri blog, le proprie riviste e, non per ultimo, chiacchierare di musica e avere rapporti umani. Una buona fetta dei miei contatti Facebook vengono da quel giro, sono le stesse persone che frequentano praticamente ogni appuntamento di queste rassegne. Non sono solo le band presenti alle selezioni del MArte Live (che per esperienza, qualche volta ti considerano un rivale) ma dei nomi e delle facce sempre presenti, un pubblico, una vera e propria scena. Giovedì sera, ad esempio, stavo a “Le Mura” e sono rimasto a parlare fino alle tre di notte di musica e di tecniche di registrazione con un gruppo di 6-7 persone, alcune delle quali le conosco perchè sono sempre “le solite facce”, altre le ho conosciute la sera stessa. C’è una situazione più “amichevole” e meno formale, talvolta quasi troppo, sembra una “festa di fine d’anno”.
D’altra parte, ancora non ci sono dei veri e propri nomi affermati, capaci di orientare il gusto italiano, di raggiungere una più ampia fetta di pubblico, che invece dentro MArte sono già presenti (Toy Orchestra, Offlaga ad esempio).
Non ho intenzione di sminuire queste due attività che operano sul territorio perchè ho molto rispetto e stima per entrambe. Mi limitavo solo ad evidenziare quanto sia particolare la realtà che ruota attorno alla “Bomba”, anche se non sto implicitamente dicendo che sia “migliore di…” (brutta parola). D’altra parte è evidentissimo che collaborando si riescono ad ottenere risultati migliori, non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo. Tant’è vero che Ausgang e “LaTuaFottuta…” spesso collaborano e c’è una certa omogeneità di pubblico, risultato di una collaborazione che funziona.
un saluto!