– di Assunta Urbano –
Attrice e cantautrice, Lamine, all’anagrafe Viviana Strambelli, è una artista a 360 gradi. La sua carriera ha inizio, per l’appunto, in ambito teatrale, con una formazione alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova. Il suo percorso prosegue nel mondo del cinema e vede collaborazioni con notevoli personaggi, come Ken Loach.
Ha intrapreso il percorso musicale nel 2014, con lo pseudonimo Lamine, servendosi solo di chitarra e voce. È nel 2019 che inizia ad essere affiancata da una band al completo, con Flavio Galanti alla chitarra, Andrea Ciccorelli al basso e Dimitri Nicastri alla batteria.
Lo scorso anno ha conquistato meritatamente il “Premio della Critica” e quello per la “Migliore Interpretazione” al Premio Bianca d’Aponte. Il 16 gennaio ha vinto il Premio SIAE Fabrizio De André, consegnatole da Dori Ghezzi in persona all’Auditorium Parco Della Musica.
Di questi importanti traguardi e del tragitto per arrivare a grandi risultati, abbiamo parlato con l’artista, durante i preparativi per l’esibizione piena di emozione a Sanremo all’Attico Monina.
Il 16 gennaio hai ritirato il Premio Fabrizio De André, nella sua diciottesima edizione, con il pezzo Non è Tardi. Cosa ha significato per te questo traguardo?
Un riconoscimento che non mi aspettavo, perché il pezzo era “poco classico”. Avevo, forse, il pregiudizio che potesse non essere recepito nel modo giusto. Invece, è stato molto bello, perché il brano è arrivato. Facendo un percorso indipendente, ero già molto contenta di mio di come stavano venendo fuori gli arrangiamenti e le produzioni. È stato un ulteriore regalo. Già sei soddisfatto e poi ti danno anche un premio! [ride ndr.] Questa vittoria ci ha aiutato anche per la realizzazione del videoclip e per il tour. Il tutto ci permetterà di far ascoltare il progetto a più gente possibile. Mi sono emozionata tantissimo, non mi aspettavo di vincere.
Il premio prestigioso è legato ad un nome immortale della musica italiana. Dato che hai vissuto a Genova, ti chiedo, che ruolo ha svolto ed ancora svolge Fabrizio De André nel tuo universo musicale?
Fabrizio De André è stato uno dei primi cantautori che ho scoperto, quando magari non ero neanche in grado di apprezzarlo e capirlo bene. Tutto questo prima di andare a Genova. Quando mi sono trasferita lì, mi sono accorta che lo senti veramente nell’aria. Capisci così perché quella città, che è per eccellenza dei cantautori, è così suggestiva. È piena di odori, è eterogenea. C’è tutta una parte industriale, metallica e decadente ed un’altra costituita da vicoli colorati. Da una parte sembra una città triste, dall’altra ti emoziona. È un luogo che ti entra nel cervello, nella pancia, e ti condiziona. Quando ho iniziato a scrivere, senza rendermene conto, mi sembrava un tentativo di simulazione. Non mi sto elevando a lui, ovviamente, ma De André è nell’aria, è in tutte le strade di Genova. Quello che ho ricevuto, è stato un Premio ancora più bello per questo.
Genova è sicuramente un posto da visitare, soprattutto per come me la stai descrivendo. De André poi credo sia d’ispirazione per qualsiasi cantautore italiano, e non solo.
Assolutamente sì, non credo proprio possa passare inosservato. Sicuramente c’è almeno qualcosa di suo che ti tocca.
Ritornando ai tuoi pezzi, Penna Bic, uscita il 24 gennaio, parla di un tuo incubo molto particolare. Raccontaci come nasce questa canzone.
Io faccio fatica in generale a spiegare questa canzone. Mi piace che ognuno ci trovi dentro il mondo in cui si riconosce meglio. Per me, è partita da un incubo. Inizialmente quando mi sono svegliata, questo “parto della penna bic” ho pensato potesse significare anche una cosa bella, un po’ come “il parto della scrittura”. Invece no. Nel corso del risveglio ho avuto una sensazione talmente brutta addosso, che mi ha portato a scrivere questo pezzo, anche un po’ per esorcizzare il tutto. Quel sogno può essere frutto di giorni sbagliati della tua vita. Penna Bic è una canzone molto intima, che io non avrei neanche pubblicato, in tutta sincerità. È andata così, perché ha passato le selezioni di molti concorsi e, quindi, ad un certo punto è come se avessi rinunciato a tenerla per me. Non penso sia il manifesto di qualcosa, è una canzone che parla di violenza e di impotenza. Ognuno ci vede quello che vuole.
Ecco, ci sono artisti che odiano questo aspetto, che la canzone venga appunto integrata dagli ascoltatori.
Quella è la linfa vitale. Io non faccio canzoni per farmi autoterapia. Non voglio essere capita, quando scrivo lo faccio perché ne sento la necessità. Quello che sta succedendo ora è la conseguenza di un lavoro, di una passione, di un amore.
Dal brano, hai realizzato un video esclusivo. Da dove proviene l’idea originaria e che cosa rappresenta la maschera che hai dipinta sul volto?
L’idea di fare quel video è essenzialmente venuta al regista (Kristoph Tassin ndr.). A lui piaceva di più quel pezzo, anche se è meno radiofonico. Nell’ottica di questa grande strategia del fallimento [ride ndr.] gli ho dato carta bianca. La maschera serve più a mettere fuori, che a nascondere. Il triangolo, nello specifico, l’ho chiesto personalmente alla truccatrice. Volevo che in questa cosa eterea del mio sogno ci fossero anche delle geometrie, dei punti di riferimento, dei paletti. Siccome stiamo parlando di raccontare un incubo, anche abbastanza inquietante, avevo bisogno di geometrie che mettessero dei confini, altrimenti il tutto sarebbe apparso troppo fumoso. Ho chiesto ci fossero delle stelline dietro, non solo lo sfondo nero, in modo da sembrare un cielo nella mia testa. La maschera serve per dare durezza a questa cosa impalpabile che è il sogno.
Proprio dal video si percepisce anche la tua esperienza nel campo teatrale e cinematografico. Parlando di quest’ultimo, non posso fare a meno di chiederti come è stato, per te, lavorare con un grande come Ken Loach.
È stata un’esperienza magnifica proprio nei termini di valore umano. È uno dei registi più umili che io abbia conosciuto nella mia vita. Ha un modo di girare totalmente documentaristico, quindi, non hai un copione, ma hai dei canovacci da seguire. Tutte le battute erano completamente improvvisate. Nessuno di noi aveva un copione, o per lo meno non io. Ogni tanto ti suggeriva qualcosa lui, ma all’altro attore diceva una versione diversa. Faceva questo genere di cose per creare dei conflitti. Era impossibile che non venisse fuori una cosa bella. Ci sorprendevamo di cosa stesse succedendo, perché lui ci mentiva spudoratamente. Ci ha messo nelle condizioni in cui dovevamo vivere il momento nonostante fosse un film. Per me è stata una delle cose più divertenti. Tra l’altro, io odio i copioni. Penso che riprodurre un testo in maniera viva, come se nascesse lì per lì, è chiaramente il gigantesco lavoro dell’attore. Quando trovi un regista che fa tutto questo lavoro e sai “abbandonarti”, sei a cavallo. Un’esperienza pazzesca.
Condivido, assolutamente. Dopo questo intermezzo cinematografico, ritorniamo ancora una volta alla musica. Lamine inizialmente, nel 2014, era il tuo progetto chitarra e voce. Nel 2019 si sono aggiunti nuovi strumenti, un’altra chitarra, un basso ed una batteria. Come hai vissuto questo passaggio?
Per me è stata la cosa più bella del mondo, perché avevo passato troppi anni a scrivere. Io sono un’attrice, non una musicista, anche se compongo e scrivo, è tutto frutto dell’istinto. Non me la sentivo di portare le cose in giro da sola. Poi l’ho fatto perché si trattava di pezzi nudi e crudi. Io venivo dal mondo del teatro, mi chiedevo se a qualcuno sarebbero interessati i miei testi. Con l’arrivo della band, abbiamo arrangiato il tutto in studio ed ho fatto impazzire il produttore. Cercavo una batteria tribale, una chitarra post-rock, un basso saltellante. Tutto questo non è semplice. Quando è arrivata la band in grado di riprodurre quello che c’era nella mia mente, è stato veramente come realizzare un sogno. Ho bisogno di musicisti forti, perché la parte in cui io ho più esperienza è sicuramente quella della scrittura e dell’interpretazione. Non si può fare tutto, però ogni tanto suono anche io. Avendo scelto un sound molto minimale, non ho sentito la band come un’avversione. Sono stati rispettosi. Le loro proposte poi sono sempre positive.
È un po’ come se fossero usciti dalla tua testa, no?
Esatto, brava. Sulle nuove canzoni su cui stiamo lavorando, i ragazzi stanno aggiungendo tanti aspetti che arricchiscono il tutto, anche sugli arrangiamenti.
“Io voglio tutto subito”, così citi in Non è Tardi. Considerando che questo anno è già partito col botto nel tuo caso, cos’è che vuole davvero Lamine?
Quella è una citazione di un monologo dell’Antigone. Nel pezzo c’è “corro come Antigone prima del funerale”. “Io voglio tutto subito” è stato scritto in un momento di sfogo. È la citazione di una frase che rappresenta la rivoluzione adolescenziale di quell’istante. Non volevo fare compromessi, non volevo fare le cose dal punto di vista di un’altra persona. Questa è la crisi di una ragazza, che però, nel caso di Antigone, preferisce farsi murare viva pur di seppellire suo fratello. È una rivoluzione tenera. Io voglio fare la musica che dico io e che risulti vera. Almeno ci sto provando. Per rispondere alla tua domanda, quello che vorrei ora è la possibilità di essere coerente con ogni singolo suono ed ogni singola parola. Non me ne frega niente di quello che funziona o meno. Per me, questo è un momento in cui c’è bisogno che funzioni la verità, non il resto. Io non sto avendo problemi da questo punto di vista. È indispensabile dire dei no, anche quando non te lo puoi permettere. Io spero che il mio percorso mi permetta di farlo e che sia infinito. Mi auguro di avere sempre il coraggio di dire no.