La vera bruttura del Concertone sono certi articoli del giorno dopo. Un po’ come quando nel corso di una serata in cui non ti stai divertendo affatto decidi di ubriacarti e tocchi il fondo; fino a quando non ti risvegli il giorno dopo e realizzi che il vero dramma è la tua faccia: sciupata, stanca, piatta, scolorita e invecchiata di dieci anni. E pensi: “cos’ho fatto per meritarmi questo ?”.
Bene, così è stata la sensazione nel leggere alcuni articoli, troppi articoli, sul concerto del Primo Maggio 2017, tenutosi come consuetudine in piazza San Giovanni a Roma, questa mattina. Tolto che io, in realtà, quella sera mi sono divertito e anche parecchio. Vi basterà cercare online qualche report sulla grande manifestazione di ieri e vi ritroverete inondati di critiche su critiche, alcune colorite, altre meno, alcune divertenti altre, sinceramente, deprimenti. Eppure, se si sono spese così tante brutte parole, amici e/o colleghi carissimi, non è colpa del Concertone. Troppo facile, dire che faccia tutto schifo, non trovate? La vera colpa è di questo giornalismo musicale settore che, in alcune sua manifestazioni più mainstream, senza dover citare ilfattoquotidiano.it, naviga in un nulla contenutistico che trova nel “dare contro” la sua unica ragion d’essere. Un quinto cerchio dantesco, ma molto meno affascinante. Ovviamente.
Il vero problema di certo giornalismo musicale italiano non è riassumibile in un nome e cognome, anche se potremmo farne, ma nella sua deriva “opinionistica” in cui regna la più totale assenza di un ragionamento critico. Ossia, c’è la critica, ma manca il ragionamento. Come mia nonna davanti la Tv che chiama tutti scemi e non capisco più quando lo pensi seriamente e quando non.
C’è la critica, dicevamo, ma manca la motivazione che sostenga la propria posizione. Perché, spero risultino delle banalità per i lettori, quello che distingue un cosiddetto professionista dal tipo “anche io posso avere una mia opinione” è quanto sia salda e articolata la motivazione alla base del proprio pensiero, quanto quest’ultimo sia frutto di un’analisi comprensiva che consideri non solo il gusto personale che, in realtà, andrebbe lasciato a casa, quanto il contesto sociale, culturale e storico. Insomma un ragionamento che può essere espresso in maniera più o meno complessa in un articolo, a cui, volendo, si può anche solo accennare, ma che non può mancare completamente.
Eppure, quello che si nota oggi è, il più delle volte, una strategia comunicativa rappresentata dalla seguente formula: esprimere un giudizio e accompagnarlo da una risposta cognitiva emozionale. Ovvero, “l’artista X mi fa cagare perché [aggiungi battutina piccata, cinica]”. In questo modo chiunque trovi divertente l’affermazione si troverà d’accordo, gli altri, invece, no. Ma l’adesione al concetto non è di tipo riflessivo. È simpatica nel senso di adesione positiva esclusivamente emotiva. Semplificando: “mi ha fatto ridere, deve aver ragione”. Ma se avesse torto? Questa domanda non viene stimolata perché non ci sono elementi stimolanti ragionamento. Non ci sono motivazioni o spiegazioni. C’è satira che rasenta lo sfottò, c’è opinione che rasenta la chiacchiera. Certamente non c’è giornalismo. Forse del cabaret, ma di quello becero che se non contiene una parolaccia stenta a strapparti un sorriso.
Quello che c’è e che, ahimè, si manifesta con una palese quanto imbarazzante trasparenza è una grande ignoranza del nostro momento storico-musicale e di quella che è, in fin dei conti, la musica dal vivo tutta.
Dalle molte letture non è mai emersa una riflessione sulla significatività della line-up di quest’anno che ha visto protagonisti musicisti provenienti principalmente dai rock club, vedi Motta, o alcuni, ma solo di recente, dai palazzetti, vedi Lo Stato Sociale.
All’inevitabile cambio generazionale, è sottesa anche una scelta artistica differente, un cambio di rotta che mette da parte gli “irriducibili” per sfamare il pubblico “indie” e quello più pop.
Per quanto riguarda, invece, le critiche sulle stonature di alcuni dei musicisti, beh, sono semplicemente desolanti. Perché dietro l’esecuzione c’è una canzone ed è da qui che si deve iniziare a (s)parlare se si vuole criticare un determinato artista. Per dire che i vostri articoli fanno schifo, ho mica sindacato su dove avete messo, sbagliando, le virgole ?
Però potrei sempre chiedervi di smettere di scrivere di musica e tirare fuori il vostro lato migliore altrove, che ne so, magari su Instagram. O forse è meglio di no.
Gianluca Grasselli