– di Naomi Roccamo –
Marta è sinestetica e si evince dalle parole che usa con cura brano dopo brano, capaci di rievocare mille sensazioni, al suo profilo Instagram. Nella vita è già una trasformista, una capace di realizzare una cosa partendo da un’altra: lo fa coi capelli e con le canzoni.
L’ho intervistata quando la nostra giornata non poteva essere più diversa, io a casa con il virus, lei in sala prove con la frenesia in corpo. Insieme abbiamo chiacchierato del suo disco d’esordio “Guarda Dove Vai”, in uscita per Costello’s Records.
Il disco si chiama “Guarda Dove Vai”. Te lo sei sentita dire spesso, come si sente all’inizio di “Bonsai” o è più un reminder che dai a te stessa?
Forse 50 e 50. La voce che si sente è quella di mia madre, registrata con WhatsApp. Era una cosa che mi diceva sempre da piccola: ero un disastro, cadevo ovunque, inciampavo. Ero distratta, guardavo in giro. Per la prima parte della mia vita era una sorta di rimprovero. Va bene rincorrere le farfalle, però non ti schiantare ogni secondo. Ora mi rendo conto che devo guadare meglio, per una questione di consapevolezza. A me piace creare, immaginare, scrivere canzoni, istintivamente, pure troppo. Ma mi rendo conto che è importante guardare dove si mettono i piedi.
“Bonsai” parla anche di emozioni che non riescono a stare buone, di entusiasmo che non si placa anche a costo di sembrare ingenuo. Sei sempre stata una persona entusiasta? Ma soprattutto, ti definisci tale?
Sì, sicuramente. Sono un’entusiasta triste. Sono sempre stata una persona socievole e sociale, però se penso all’entusiasmo mi vengono in mente i fiorellini. Sono entusiasta in maniera nostalgica.
Hai scritto una canzone in cui lei è lo spirito guida protagonista, “Alda Merini centravanti”. Chi rappresenta per te Alda Merini?
Sicuramente sì, prima di tutto perché il primo approccio con lei è stato visivo: mi ricordava moltissimo una prozia, zia Carla, la mitica, che a sua volta mi ricordava una delle mie nonne, a cui ero molto legata, e quindi visivamente l’ho sempre sentita super familiare. E poi conoscendola e leggendola, libri, poesie e anche la biografia, che ho scoperto dopo, a caso. Come mi è arrivato Leopardi mi è arrivata Alda Merini. Le sue poesie sono fatte di potenza, di una tristezza che lei non vuole nemmeno stare a risolvere. Mi ha sempre fatta sentire molto capita.
Riappropiarsi degli spazi e ridefinirli sono pratiche di sopravvivenza e di affermazione della propria esistenza è il leitmotiv del recente videoclip di “Chi Può”. Come nasce l’idea di questo progetto visivo?
Nasce insieme all’art director del mio progetto che è Veronica Moglia, che mi aiuta in tutto, grafiche, styling, sostegno psicologico [ride, nda]. Io ho praticamente espresso il desiderio di parlare di privilegi, spazi e del privilegio attraverso gli spazi, di mettere in discussione gli spazi della città e da donna sentivo la necessità di riappropriarmi di certe cose, del girare in giro come mi pare. Lei mi ha proposto questa reference di Ugo la Pietra, La riappropriazione della città, un documentario di mezz’ora, bello lento che parla proprio della riappropriazione degli spazi. Quindi abbiamo costruito un universo visivo che si attenesse a questo tipo di visione.
Anche in “Invisibile”, il tuo ultimo singolo, ritorna il tema dell’esserci per davvero. Tu canti: «Vorrei vivere la vita ed essere presente come se davvero a me non mi mancasse niente». Alla fine ci sei riuscita o sei ancora alla ricerca? Ti dico subito che sei giustificata se non hai trovato un modo, visto che il singolo è recente.
[Ride, nda] Sicuramente è il tema centrale della mia vita. Rispetto a quando l’ho scritta, cioè due anni fa, sono molto più presente. Ma si tratta di un percorso e mi auguro di essere ancora più presente e ancora più felice di quello che ho e in cammino verso ciò che voglio avere.
Ci parli del tuo podcast, Cuore di vetro? C’entra qualcosa Blondie?
[Ride, nda] in realtà l’ho preso, ancora una volta, da “Alda Merini centravanti”: avere il cuore di vetro e non di carne è una sensazione che io ho sempre avuto, o forse più gli altri lo hanno avuto nei miei confronti. Col tempo ho imparato a gestire questa fragilità, facendo entrare la luce fra le mie crepe, usandolo come tratto distintivo. Oltre a Prospettiva, il mio primissimo podcast, ho creato questo podcast per la necessità del volermi aprire più agli altri. Si tratta di quattro puntate in cui intervisto delle persone, quattro intervalli di tempo un po’ particolari: il passato che ho avuto, il passato che avrei voluto avere, attenzione, il presente e poi il futuro creato dalle scelte. Ho scelto delle persone che potessero interpretare quello specifico momento della mia vita, come amici miei e colleghi, una calciatrice, un antropologo, un attivista.
Suonerai al MI AMI a Milano prestissimo. Come ti senti a riguardo? Essendo milanese lo conosci da spettatrice, immagino.
Va a giorni, malissimo e benissimo [ride, nda]. No, dai, sono super contenta! Per me il MI AMI è un simbolo e questo rappresenta il passaggio dall’altra parte, sul palco. Ecco, sono più felice che spaventata.
Ci vediamo live <3