– di Michela Moramarco –
La Maschera sono una band partenopea che nell’ultimo album parla di riscatto sociale: un concept di nove tracce che attingono alla world music da cui emergono energia e un sostanziale invito a farsi avanti in un contesto di resistenza. “Sotto chi tene core” è un album dalle innumerevoli chiavi di lettura, di cui noi abbiamo parlato con la band.
Vorrei introdurre questa intervista con una breve spiegazione del titolo: un grido di battaglia, un invito a farsi avanti. Qual è il messaggio sotteso a questo titolo? È stato scelto in modo immediato?
L’ispirazione del titolo viene da un film che è “Le quattro giornate di Napoli” di Nanni Loy, un regista di Napoli straordinario. In una scena secondaria di questo film, una scena molto breve, uno delle comparse imbraccia un fucile e urla: “sotto chi tene core!” e poi viene ucciso immediatamente: la scena è quasi irrilevante. Mi ha colpito così tanto questo invito detto in quel modo: dunque, il napoletano ha questa ambivalenza, quasi un dualismo, per cui core in questo caso significa coraggio, ma potrebbe voler dire anche cuore. La traduzione letteraria di queto titolo è quindi: si faccia avanti chi ha cuore e coraggio. Questo aspetto mi piaceva ed è un po’il grido di battaglia comune a tutte le figure protagoniste dei brani. C’è quindi un aspetto quasi sentimentale legato al cuore quindi e anche l’aspetto sociale dal punto di vista del coraggio.ù
L’artwork di questo album è una evidente citazione al quadro “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza Da Volpedo. Me ne parleresti?
La citazione è assolutamente voluta. Il quadro da cui è tratta è decisamente iconico. “Il Quarto Stato” ha in prima fila tre persone, in questo caso è solo una ed è l’unica il cui volto non è riconoscibile, ovvero quello che guida il popolo. In questo caso, in abbinamento al titolo, emerge l’idea della resistenza, come una marcia in cui c’è un’entità, un’idea, a guidare gli altri, non c’è una persona reale. Vuol essere un ideale di libertà anche.
È difficile amalgamare un certo linguaggio con le sonorità sostanzialmente folk? A questo proposito qual e stato il brano più difficile da scrivere a livello testuale?
Posso dire che abbiamo fatto un grande lavoro di pre-produzione, quindi è stato “semplice”. Il brano che forse ha preso forma più tardi è “Mirella è felice”, la seconda traccia, ha delle batterie anni Sessanta/Settanta, musicalmente parlando e poi entrano i fiati per dare spazio ad un ritornello che si modula ancora in modo diverso. Tutte le influenze sonore derivano dal fatto che siamo malati di musica e di strumenti musicali: ognuno di noi è polistrumentista e si diverte a suonare. Abbiamo attinto dalla world music, per simulare suoni elettronici che in realtà non lo sono. Per questo album è stato tutto suonato in sala.
A che pubblico vi rivolgete?
Penso che possano essere messaggi universali, quindi non c’è una strategia di scelta di rivolgersi ad un pubblico preciso, a livello anagrafico. Ai concerti accorrono varie generazioni, questa cosa mi appassiona molto.
Nel brano chi se vo bene si parla sostanzialmente di amore. Da dove deriva questa esigenza narrativa e come e andata la fase di scrittura di questo brano?
Non è che non è un tema prediletto, è che è difficile parlare di amore in modo adeguato. Nel brano che hai nominato c’è un’analisi di qual è l’ingrediente segreto per rendere qualcosa di volatile e passeggero come l’amore, più duraturo. In questo caso la risposta è stata la costanza, ma anche la perseveranza, che sono quegli ingredienti che servono a rendere le relazioni umane migliori. Chi se vo bene è una canzone d’amore, ma il significato è adattabile, la sorta di resistenza di cui parlavo prima vista riguardo le relazioni umane. Ingredienti per resistere, ecco la sintesi narrativa.
Questo album racconta sostanzialmente figure invisibili. Ma secondo l’immaginario di Italo Calvino le cose invisibili racchiudono sempre molti aspetti legati alla realtà, mescolati fra loro. Cosa ne pensate?
L’esempio che riporti è estremamente calzante. È la verità: il mondo che viviamo, le strade che percorriamo sono piene di tantissimi invisibili. Anche noi a volte lo siamo. Spesso le canzoni, le poesie, le emozioni, si nascondono proprio nelle cose che vediamo tutti i giorni. Basterebbe puntare la lente di ingrandimento su qualcosa o qualcuno per scoprire che tutti hanno qualcosa da raccontare. Venendo da una realtà periferica mi sono sentito molto vicino a una serie di realtà più piccole.
Ti pongo un’ultima domanda. Chi è che ha coraggio al giorno d’oggi?
Questa domanda è bellissima. Ti direi tutti e nessuno. Ma la risposta è complicata. Anche quando pensiamo di avere coraggio nel fare una certa scelta, c’è sempre chi ne ha avuto più di noi. Bisognerebbe avere coraggio non tanto per una rivoluzione che, come dice la parola, che è molto triste perché riporta al punto di partenza, ma bisognerebbe parlare di evoluzione, quindi fare un passo più in là per sconfiggere la regressione umana e sociale che stiamo vivendo.