– di Angelo Andrea Vegliante.
ph. Ivan Cazzola –
La conosciamo benissimo come attrice, meno come cantante. Questo perché, a livello di produzione, dobbiamo tornare al 2014, quando Margherita Vicario pubblicò il suo primo EP, Esercizi Preparatori. Sono passati ben cinque anni, e ora l’artista ha deciso di re-intraprendere la strada iniziata, con una sana dose di maturazione artistica. Prima prova? Il nuovo singolo, Mandela.
Dentro a Mandela c’è tanta carne al fuoco. Come si può raccontare brevemente tutto ciò che canti?
Brevemente… [ride]. È un po’ strano spiegare in prosa delle cose che sono scritte in rima. Se lo spieghi, cadi subito nella retorica. Ho vissuto tre anni a Piazza Vittorio, a Roma – anche se la canzone l’ho scritta una sera, di getto -, sicuramente dentro ci sono tutti i miei rientri a casa da sola a Piazza Vittorio, tutti i telegiornali, tutte le notizie terribili che ho visto sui carabinieri… Appena ne parli, diventi subito retorica. Invece la canzone è fatta apposta così, leggera. Più è leggera più puoi dire cose importanti.
Leggero è anche il sound. Come mai questa scelta?
Non è stata una scelta così voluta. C’era questa base su cui io ho lavorato… Di mio sono molto così, sempre allegra, sorride sempre.
Si può parlare di istinto, quindi.
Sì, è assolutamente un mio istinto. Poi spesso ho imparato molto dagli altri. Quando vedo una cosa detta con troppa serietà, non ci credo. Non mi piace, mi arriva meno. Sento una canzone, se è impegnata con i paroloni… non mi piace. Quindi ho imparato da tutto ciò che non mi piace e il risultato è questo. Cerco sempre di andare un pochino per contrasto.
Cerchi di premiare la naturalezza dell’arte?
O almeno di rispettare la mia.
Il singolo anticipa il tuo secondo album. A che punto sei in termini percentuali?
Poco, 55%.
Sai, a me piace anche conoscere le opinioni degli artisti. La musica attuale, spesso, viene ‘discriminata’ a livello concettuale. Si sentono giudizi come “La musica era meglio prima” o “La tecnologia ha rovinato la musica”. Tu che ne pensi?
Per me non finirà mai il tempo dei pianisti e dei chitarristi. Adesso c’è un’evoluzione, che è l’evoluzione dei software, di tipo tecnico. Si può fare musica anche senza saper suonare niente. Parlavi di questo nuovo?.
La musica attuale che può andare dai TheGiornalisti fino alla band emergente, si critica molto l’aspetto della novità. Sei nuovo, allora non sarai mai bravo come nella musica del passato.
No, non ci credo minimamente e non è neanche una giusta osservazione. Invece è un momento ottimo della musica. Ci sono tantissime persone che ascoltano la musica contemporanea, molto più di prima. La cosa figa di questo periodo è che la gente ascolta persone che poi effettivamente va a vedere dal vivo.
Senti più partecipazione dal pubblico.
Assolutamente. Chi dice che quelli di prima erano meglio, sarà molto affezionato a Vasco Brondi [ride]. Nel senso che la musica indipendente è un po’ cambiata. Certo, oggi c’è molta più musica, però in realtà quelli che guadagnano un grosso pubblico non sono tanti. Quelli che dicono che la musica di prima era meglio, vuol dire che non hanno voglia di godersi questi tempi.
Torniamo alla tua dimensione artistica. Dall’EP Esercizi preparatori a ciò che sta per arrivare, quant’è cambiata Margherita Vicario (se è effettivamente si sente cambiata)?
Nel mio primo EP prodotto da Roberto Angelini, ero molto ossessiva e pignola sulle idee di arrangiamento, sulle melodie, su tutta la parte musicale. Volevo controllare tutto. Quasi lasciando lavorare di meno il povero produttore. Crescendo, invece, mi sono assolutamente aperta. Anche perché sono cambiati i miei ascolti. Ascoltando molti più colleghi, artisti contemporanei, abbandonando un po’ gli ascolti dei vent’anni, che erano più gli ascolti dei miei genitori, mi sono lasciata più andare anche dal punto di vista degli arrangiamenti e delle melodie. Facendomi ispirare anche da cose più contemporanee. Con il produttore nuovo, Davide ‘Dade’ Pavanello, mi affido a lui, ci piacciono molto le stesse cose. Ora voglio fare della musica più divertente. Anche prima lo era, ma più dal punto di vista intellettuale.
Ti prendevi troppo sul serio?
Assolutamente no, mai fatto e mai lo farò. Il fatto è che era una musica più acustica, strumentale. Facevo tipo teatro-canzone. Non erano più serie, anzi erano cazzeggio totale e molto ironiche. Ora invece voglio fare una musica con cui ci puoi ballare, ti ci puoi muovere, scatenare. Prima erano molto più da vedere a teatro.
In effetti ho notato una differenza, ad esempio, tra il brano Questione d’esercizio e Mandela, un cambio di passo per rendere qualcosa più ballabile.
Sempre perché imparo molto dagli altri, dai concerti che ho visto. Se vado a un concerto di Frah Quintale, non mi piacciono solo le canzoni, ma me le ballo pure. Sentire gli altri artisti ti fa venire sempre nuove idee. Ti fa cambiare, ovviamente.
Nella tua attività artistica, ti sei dedicata maggiormente al lavoro attoriale. Con questo nuovo disco, è l’inizio di un percorso molto più attivo nel mondo della musica?
Spero proprio di sì. Non perché non mi piaccia il lavoro da attrice, ma semplicemente ora è un momento in cui ci devo essere.