Un disco che ti aspetti e che arriva forte e chiaro. Ma non è così “facile” come sembra, il primo LP dei Kutso. Dietro alla leggerezza e alla teatralità che hanno caratterizzato i mille concerti del cosiddetto Perpetuo tour, che ha permesso loro di calcare palchi molto importanti, c’è tanta sostanza a supporto di un’amarezza latente, catalogata, erroneamente a mio avviso, come un semplice giochetto stupido da sala prove per musicisti alle prime armi. Fatemelo dire: questo è un mero errore di valutazione, ai limiti del superficiale, date le doti canore, compositive e di coinvolgimento (dal vivo) del leader della band Matteo Gabbianelli, che gli permettono di muoversi sapientemente su un tappeto sonoro eseguito e registrato dagli altri tre membri del gruppo (Luca Amendola al basso, Donatello Giorgi alla chitarra e Simone Bravi, che ha da poco sostituito Alessandro Inolti, alla batteria) in maniera altrettanto talentuosa.
Ma andiamo oltre.
Superata l’apparente giocosità di pezzi come “Siamo tutti buoni” e “Aiutatemi” (“…me so rotto er… Kutso”) e una dissacrante verve facilmente riconducibile allo stile degli Elio e le storie tese, per capirci, troviamo la voglia di rappresentare il mondo che viviamo, utilizzando un linguaggio tragicomico e al tempo stesso diretto, che arriva dritto nelle orecchie dell’ascoltatore nel modo più veloce possibile, con pillole di vita da tre minuti di media a brano. Un chiaro esempio è “Via dal mondo”, in riferimento ai vandalismi avvenuti durante la manifestazione dell’ottobre 2011 a Roma, i Kutso riescono a trattare un argomento non facile senza cadere nel banale, prendendo il toro per le corna, urlando in faccia a chi di dovere che un altro mondo è possibile.
“Lo sanno tutti”, il primo singolo estratto (che vede la partecipazione di The Pills nel videoclip correlato), è la rappresentazione del pensiero del musicista medio italiano (o principalmente romano?) e della maggior parte degli aspiranti musicisti odierni, convinti che l’Eldorado della musica si trovi nei pressi di Milano. Uno stereotipo di facile utilizzo che viene descritto senza mezze misure nel videoclip e nella canzone stessa, dove utilizzando uno strano accento di ispirazione nord italica si scimmiotta l’atavica “lotta” tra nord e sud, che non prevede vincitori né vinti.
“Marzia” e la cover di “Canzone dell’amor perduto”, assieme a “Perso”, sono i momenti più dolci del disco, in cui Matteo si spoglia dell’ironia mettendo sul piatto una sensibilità, anche nell’amore, che appartiene ad ognuno di noi.
E poi “Alè”, “Stai morendo”, “Siamo tutti buoni” ed “Eviterò la terza età”, ricalcano la linea guida di tutto il disco: descrivere con parole, anche al limite, il mondo che ci circonda (“fino a quando, bestemmiando, sparerò a tutti quanti” – “Questa società”), con la consapevolezza che certe volte con un sorriso la verità è meno amara da accettare. Una verità che dal vivo risulta essere più divertente che nel disco, ma questo succede anche a band molto più affermate dei Kutso… e credo che l’affermazione, per questa band, sia solamente questione di tempo.
Sammy J.