– di Angelo Andrea Vegliante –
Arriva Veronica Di Nocera. Arriva “Kaleidoscopio”. Arriva con una canzone sul bullismo. Si presenta così la giovane artista campana di 24 anni, con un singolo incentrato su una tematica quanto mai nota, ma pur sempre con sfaccettature da far emergere. E così Veronica ci mette del suo, parla della sua vita, si mette a nudo e mostra le cicatrice del proprio vivere. L’abbiamo contattata per comprendere come mai questa scelta al proprio esordio artistico.
Per chi ancora non ti conoscesse, chi è Veronica Di Nocera?
Sono una ragazza campana di 24 anni con la passione nell’anima per la musica. Sono nata e cresciuta ad Aversa, una piccola città in provincia di Caserta. Posso dire con certezza che il mio primo incontro con la musica è avvenuto alle elementari, quando durante l’ora di musica mi cimentavo a suonare le percussioni e la diamonica senza neanche saper leggere le note. Oltre all’amore per gli strumenti musicali, da sempre, ho avuto una predisposizione innata per il canto. Sin da piccola ho sempre provato una sensazione di piena libertà nel cantare con enfasi le canzoni dei miei artisti preferiti. In particolare, mi piaceva cantarle al Karaoke, dove mi esibivo con il mio cavallo di battaglia, “La solitudine” di Laura Pausini. Durante il periodo delle medie mi resi conto che cantare era diventato il mio rifugio dai tormenti subiti quotidianamente a scuola. Così, decisi di prendere lezioni e al contempo iniziai a suonare la chitarra da autodidatta guardando video su YouTube. Durante il periodo delle superiori decisi di affrontare l’ansia da palcoscenico suonando in diverse band della mia città e partecipando a concorsi canori regionali. Oggi posso dire con certezza che Veronica è una ragazza che vive di musica in tutti i sensi.
Una canzone contro il bullismo, una canzone che parte dalle proprie esperienze personali. Com’è stato affrontare questo tema in “Kaleidoscopio” mettendosi a nudo?
“Kaleidoscopio” è nata in un periodo molto buio della mia vita, periodo in cui ho sentito la necessità di dare voce a tutte quelle esperienze che mi portavo dentro da troppo tempo e che avevo sempre nascosto con cura agli occhi di tutti. Questo brano parla di me e del mio acerrimo nemico, il bullismo. Da bambina e anche in adolescenza ho subito diversi atti di bullismo sia di natura psicologica che fisica: questi traumi mi hanno trasformata in una persona irriconoscibile, spenta, priva di sorriso e con complessi che tutt’ora persistono nella mia mente. Il bullismo è stato un capitolo difficile, di cui non ho mai avuto il coraggio di parlare per non essere ulteriormente “presa in giro” dalle persone che per anni hanno gioito nel vedermi cadere in un baratro sempre più profondo. Ho impiegato diversi anni a chiedere aiuto ed è stata questa agonia prolungata a farmi rifugiare nella musica. La musica mi ha salvata, mi ha dato la chiave per sopprimere tutte quelle sensazioni negative che mi rendevano vulnerabile e insicura. Salire su un palco, guardare negli occhi il pubblico e cantare di sentimenti e di esperienze è stato un esercizio che mi ha permesso di trovare il coraggio di essere me stessa, nonostante i miei ‘difetti’ e le mie paure. “Kaleidoscopio” si può definire il portabandiera del mio esordio artistico perché è soltanto il primo brano di una lunga serie di progetti in cui affronterò tematiche sociali complesse. Questa canzone rappresenta il ritrovo di una voce che avevo perso e che avevo finito per dimenticare a causa del giudizio altrui, ma da quando l’ho ritrovata ho deciso di metterla a disposizione di chi ancora stenta a trovare la propria e che ha bisogno di essere rappresentato con coraggio. Il testo di “Kaleidoscopio” è ricco di metafore così come il video e queste ultime hanno l’arduo compito di descrivere al meglio il concetto di diversità, termine che molto spesso viene utilizzato in modo dispregiativo. Non ho voluto soffermarmi soltanto sulla mia personale esperienza, ma ho voluto dare una visione più ampia rispetto alle difficoltà che ognuno di noi si ritrova ad affrontare ogni giorno. I veri protagonisti di questa canzone sono tutti coloro che inspiegabilmente e quotidianamente vengono spinti giù nel baratro dell’isolamento da una società conformista, dove tutto si dissolve in un silenzio – assenso assordante che non lascia spazio alla diversità.
Perché hai scelto questo singolo e questa tematica come portabandiere del tuo esordio artistico?
Quando ho deciso di cimentarmi nella scrittura ho iniziato parlando d’amore, di delusioni, di fughe romantiche nel cuore della notte verso l’infinito e oltre. Poi mi sono resa conto che è bello parlare d’amore, sì, è bello poter dare voce a un sentimento così meravigliosamente ampio nonostante si riassuma in una parola di cinque lettere, ma poi mi sono chiesta: “E l’amore verso se stessi come lo si potrebbe descrivere?” Inizialmente, mi sono ritrovata con un foglio bianco e tante emozioni che non sapevo come racchiudere in due strofe, due ritornelli e un bridge perché ritenevo che tutte le parole da me utilizzate non fossero idonee a descrivere un tema così importante e ampio come la diversità. Come far comprendere ad un pubblico di 60 milioni di persone cosa sia la diversità? Ma, soprattutto, come farlo senza annoiarli? Io non ho trovato una formula magica, ma ho lasciato spazio alla mia voce, alla mia esperienza e a ciò che volevo descrivere, servendomi di una musica attuale che convoglia influenze di Hip Hop, Pop e Indie. Ho studiato tanto il mercato per capire quali fossero le esigenze di un ascoltatore medio italiano ma, nonostante ciò, mi sono ispirata soprattutto a quello che sta succedendo nel panorama musicale estero. Nel mio brano ci sono influenze non eterogenee ma anche di artisti precisi quali Billie Eilish e Lorde che ritengo abbiano rappresentato e rappresentino una generazione vulnerabile che, persa tra i meandri di internet, non sappia distinguere più dei punti di riferimento reali a cui appellarsi o confrontarsi.
Impiegare la musica per temi e scopi sociali mi rammenta sempre l’importanza di affrontare certe problematiche, anche su palchi di grande notorietà. Mi viene da pensare, ad esempio, a Sanremo 2020, dove il brano “Il gigante d’acciaio” non ha avuto un così ampio approfondimento come ci si aspetterebbe. Come se, alle volte, la canzone sociale sia un po’ una rottura di palle. Come si fa a rompere questo muro ideologico?
Ritengo che brani come “Il gigante d’acciaio” e “Billy Blu” debbano avere un posto speciale in questa edizione appena terminata di Sanremo Giovani. Gli autori dei due pezzi hanno avuto il coraggio di affrontare tematiche complesse riuscendo a trasformarle in ritornelli che ti restano impressi, conquistando il cuore di un pubblico che finalmente si è sentito rappresentato. Infatti, temi come questi che, per quanto siano così vicini al sentire e all’esperienza di ciascuno di noi, nella musica molto spesso passano in secondo piano, proprio per non annoiare il pubblico.
Il brano “Kaleidoscopio” anticipa altri lavori? Qualche altro singolo, un EP o un disco?
“Kalediscopio” è soltanto l’inizio di un progetto che è partito da circa un mese e mezzo e che sta già ottenendo un riscontro inaspettato. Ritrovarmi in diverse Playlist di Spotify è stato un traguardo che fino a ieri non pensavo di poter raggiungere da sola, basandomi soltanto sulle mie forze. Oggi, invece, mi ritrovo ad aggiungere alla mia piccola agenda appuntamenti radiofonici, interviste, esibizioni dal vivo e audizioni che non vedo l’ora di affrontare. Il mio obiettivo è quello di raggiungere il maggior numero di persone con il mio messaggio e di racchiudere tutte le mie idee in un EP al quale ho iniziato a lavorare già da qualche settimana. Il mio sogno nel cassetto è il Primo Maggio Next. Incrociamo le dita perché ho inoltrato la candidatura qualche giorno fa!
Leggendo la tua nota stampa, ho notato che ha studiato e lavorato tanto prima di pubblicare il tuo primo singolo. Si sta perdendo un po’ il ruolo nevralgico della gavetta, secondo te?
Penso che la gavetta sia essenziale per la formazione di un artista. Ritrovandomi a frequentare ogni giorno l’ambiente musicale posso affermare con certezza che la maggior parte dei giovani emergenti sognano di diventare famosi dal nulla, nel giro di poche ore e con il minimo sforzo. A volte qualcuno ci riesce, buon per lui, ma molti rimangono sorprendentemente delusi e forse non riescono a comprendere che la fortuna non gira sempre dalla parte di tutti, e che il talento è una qualità da coltivare giornalmente, rincorrendo occasioni e soprattutto andando al di là delle pareti della propria stanza. La mia gavetta è durata e dura da cinque anni: ho suonato in locali fatiscenti, in cima a montagne innevate e in paesini dove spesso non venivo neanche retribuita, ho cantato nei cori di chiesa, in cori Gospel, ho suonato a matrimoni, feste di piazza, compleanni e aperto sfilate di moda e di abiti da sposa. Nel frattempo, non ho mai smesso di studiare, di imparare dai libri e attingere dalle esperienze di altri artisti. La mia vita è sempre stata in salita e a volte mi guardo indietro e non so come io sia qui senza arrendermi a tutti gli imprevisti che quotidianamente cercano di ostacolarmi il cammino. Dai banchi di scuola di periferia mi sono ritrovata selezionata per studiare alla Luiss Business School, dove lo scorso anno mi sono diplomata al Master of Music: l’obiettivo più importante che ho conseguito fino ad ora. Grazie alla mia tenacia questa esperienza mi ha permesso di studiare il panorama musicale a 360° e di confrontarmi con professori come Nicola Cani, Manager di Tommaso Paradiso, che poco fa mi ha augurato un in bocca al lupo per la mia carriera artistica! Io penso che la gavetta sia essenziale quasi quanto lo studio e che soprattutto nell’ambito musicale valga il detto “volere è potere”.
Visto che viviamo in un mercato ampiamente saturo di proposte giovanili, a tuo avviso, come si fa a emergere dal mucchio?
Emergere dal mucchio è ancora un’incognita per me, ma penso sia importante confrontarsi e osservare al microscopio tutto ciò che accade nel panorama musicale attuale. Mio padre spesso mi dice che potrei lavorare in radio o creare un blog di gossip perché conosco alla perfezione vita morte e miracoli degli artisti di oggi. Io penso che un artista emergente debba concentrarsi prima di tutto sulla conoscenza del mercato musicale e provare a interagire con quest’ultimo senza mettere da parte le proprie esigenze e influenze musicali. Anticipare le esigenze del mercato è spesso impossibile perché ci ritroviamo in un’era in cui l’anticipazione stessa può equivalere a un ritorno alle origini di un genere. Penso che il mercato attuale sia associabile a un immenso oceano di sperimentazioni in un periodo in cui sento spesso parlare di “musica che ha perso di significato”. Ciò che mi sento di dire è che in questo naufragio di genere non bisogna sentirsi come un pesce fuor d’acqua ma provare a nuotare tra le correnti facendo prevalere le proprie idee e le proprie sensazioni. Io mi sono fidata dei miei studi, di me stessa e delle mie esperienze e spesso sento persone ringraziarmi dicendomi “hai creato un qualcosa di nuovo, che non avevo mai ascoltato prima”.
Dove vuole arrivare Veronica Di Nocera?
Veronica Di Nocera, meglio Veronica e basta, vorrebbe ritrovarsi a cantare per migliaia di persone un giorno e vorrebbe raccontare ai propri cari di essere riuscita finalmente a lasciare traccia del suo passaggio.