– di Riccardo De Stefano –
Viviamo in un mondo dove dire le cose è facile e deresponsabilizzato. Apri i social e riversi il tuo odio verso gli sconosciuti con una facilità e con un distacco talmente marcato da non renderti neanche conto di chi e di quanti leggono quel che scrivi.
Ci vuole poco, qualche istante e via, nessun processo di metabolizzazione e di elaborazione del gesto.
Nella musica questo – si presume – non avviene. L’opera creativa è figlia di riflessione, studio, analisi e poi in seguito di performance, dove quello che hai scritto lo canti, ancora e ancora, quindi la ghigliottina dell’autocritica dovrebbe colpirti prima o poi.
La notizia la sapete: Junior Cally è accusato di misoginia e incitamento al femminicidio e alla violenza sulle donne per alcune canzoni del 2017 quali “Strega” e “Gioia” (che affermano “Lei si chiama Gioia, ma beve poi ingoia, balla mezza nuda, dopo te la dà. Si chiama Gioia perché fa la troia […] L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa, c’ho rivestito la maschera”).
Per questo togliamo dal gioco subito un elemento: è inutile che Junior Cally si giustifichi e si scusi, e che magari era una “bravata” (come ha detto). Lo ha voluto dire e dovrebbe andare all-in, rivendicare la scelta e motivarla nella forma a lui più indolore possibile, se ci tiene a sopravvivere a questa ondata di shitstorm.
Il vero punto però è: chi decide cosa si può dire e cosa no?
Al di là della legge (e Junior Cally non ha infranto la legge), chi si può prendere in carico l’onere di dire: “questa cosa non va detta”?
Apro una parentesi e metto le mani avanti: quello che sto per dire va letto con grande spirito critico e sapendo cosa sia la reductio ad absurdum, quindi confido nell’intelligenza di te, lettore.
Ricordiamo tutti cosa successe a Parigi il 7 gennaio 2015: dei terroristi islamici entrarono nella sede di Charlie Hebdo e commisero una strage, uccidendo 17 persone. La colpa era di aver fatto satira su Maometto, la punizione la morte. Non c’è neanche bisogno di dire come questo gesto sia abominevole, al di là anche solo dell’espressione “criminale”, né che entri poco nella nostra faccenda, ma entrambi gli episodi vertono su una discussione che si dovrà realmente fare prima o poi.
In campo artistico, si può dire e fare tutto?
Spero nessuno dei miei lettori può mai pensare di sentirsi vicino agli attentatori, motivando la strage al Charlie Hebdo perché “è offensivo della morale religiosa islamica”: la reazione dell’opinione pubblica è stata – giustamente – che la satira può fare e dire tutto, attaccare e deridere tutto.
E allora solo la satira ha questo potere? La musica no? La musica non può cantare e raccontare, come potrebbe fare la narrativa (e come ha fatto la narrativa infatti) stupri, omicidi, abusi, violenze, perversioni di qualsiasi tipo?
Sembra che i problemi escano nel momento in cui le persone si indignano, e si indignano solo e soltanto quando qualcosa di vicino a loro viene toccato e offeso, altrimenti quasi sempre (come nel mio caso, in questo momento e con me a confermare la tesi) viene difeso a spada tratta.
Io non ascolto Junior Cally
Io penso che i testi di Junior Cally siano stupidi, offensivi, volgari e poco interessanti se non per lo shock value che l’artista ha ricercato in passato. Come buona parte del rap e della trap, che deve per forza di cose trattare le donne come “puttane”, se non addirittura ricorrere a un immaginario violento e criminale.
Infatti non ascolto Junior Cally. Né sono un ascoltatore del rap o della trap.
Nessuno sta dicendo che vi dobbiate sentire rappresentati da quello che Junior Cally canta o dice. Se lo ritenete offensivo e misogino, ne avete perfettamente la libertà e guai a chi provi a dire il contrario.
Però il gioco finisce qui. Vi fa schifo Junior Cally? Anche a me. Ci ritroviamo una sera al pub e ne parliamo malissimo.
Qui stiamo parlando di una gogna mediatica che cade sopra un artista per qualcosa che ha fatto in passato, nel 2017.
Chiaro che a nessuno interessa realmente ciò che ha fatto o cantato Junior Cally: se non lo conoscevate prima ci sarà un motivo. Il problema è che questo Sanremo – per mille motivi, tra cui lo sgarro fatto da Amadeus ai giornalisti per la lista dei nomi dei partecipanti – deve essere attaccato, svilito e buttato giù. Prima ci hanno provato con (di nuovo) Achille Lauro e la sua teoricamente fascistoide “Me ne frego”. Poi le accuse di maschilismo per lo scivolone linguistico del “passo indietro”, ora Junior Cally a cui segue – grazie alla mente illuminata di Red Ronnie che si conferma intellettuale di prim’ordine, non a caso seguito immediatamente da Salvini – la medesima accusa rivolta ai Pinguini Tattici Nucleari per la loro “Irene” (“Irene, questa sera la faccia te la strapperei via Così faresti paura al mondo ma resteresti sempre mia”).
Combattere il vero nemico
Quello che sembra andare a vuoto è il senso della faccenda: al di là della strumentalizzazione di parte, che senso ha aggredire un artista per qualcosa fatto anni addietro?
La confusione in questi giorni è tale che sembra quasi che Junior Cally (o i Pinguini Tattici Nucleari) stiano portando in questo Sanremo le canzoni incriminate. In realtà si tratta di indignazione retroattiva, un po’ come prendersela con Indro Montanelli per il madamato degli anni ‘30 e magari criticarne l’operato professionale.
Questo tipo di gogna mediatica, che vuole la testa dei cantanti, non ha nulla a che fare con le canzoni: non è censura dei contenuti, è censura degli artisti. Non si sta discutendo se portare o meno a Sanremo contenuti non adatti, quanto se è giusto che partecipi alla manifestazione “qualcuno” che avrebbe cantato “in passato” canzoni oscene e offensive. Come se questo fosse una dichiarazione di intenti, o una appartenenza ideologica.
E allora torniamo a monte: chi decide cosa si può dire e cantare e cosa no? Chi decide se applicare o meno il filtro dello straniamento artistico?
Ci sono tante sfumature e molti layer. Da una parte c’è un artista che (paraculo) scrive testi orribili e violenti e si giustifica dicendo che “non mi rappresentano”, poi forse alla fine servirà anche per fargli promozione. Dall’altro chi decide di indignarsi perché è arrivato troppo tardi e non sapeva chi fosse Junior Cally, per cui il trigger parte adesso e a indignarsi ci vuole poco. In mezzo Amadeus e il Festival di Sanremo che non riescono a evitare di fare gaffe né di alimentare polemiche, e che non hanno alcun vero interesse in Cally o nei Pinguini se non la comoda facciata dello smorzare le critiche.
Su tutto aleggia l’inquietante spettro dell’indignazione pubblica, che combatte fantasmi del Natale passato e alza la polvere rendendo tutto “giusto” e “sbagliato”, e puntando il dito di qui e di là, senza capire quale sia il vero nemico.