– di Giacomo Daneluzzo –
“Viva er teatro, dove tutto è finto,
ma niente c’è de farzo e questo è vero”
(Gigi Proietti)
Melting Pot è il titolo dell’ultimo lavoro discografico del cantautore mantovano José Andrés Tarifa Pardo, disco di circa mezz’ora le cui sette tracce rappresentano un calderone, o crogiolo (in inglese, appunto, “melting pot”), di influenze stilistiche; nessun brano assomiglia all’altro, eppure c’è una grande coerenza di fondo nello stile e nella poetica di Tarifa Pardo, che realizza un progetto senza genere, di quelli che sarebbe meglio evitare di etichettare. Si tratta infatti di un album originalissimo, con molte influenze, alcune delle quali dichiarate esplicitamente dalle canzoni stesse (come vedremo in seguito), ma diverso da qualsiasi altro.
Il disco, scritto dal cantautore e composto a quattro mani dallo stesso con Filippo Lui, che ne ha curato anche gli arrangiamenti, è uscito per Crystal Music Records nel 2019, come ideale proseguimento de La sagra del buio (2015), ultimo album di Tarifa Pardo che raffigura l’Inferno dantesco tra teatranti, scrittori e smoking club. Melting Pot è l’uscita da un inferno allegorico e più personale, per entrare in un purgatorio maggiormente legato ai problemi della società occidentale in generale, come può essere la difficoltà nella gestione del tempo che ci porta ad aver bisogno di una “modulazione analitica del tempo”, e in particolare dell’Italia, come accade nel testo della Tarantella de’ briganti. Tutto questo, però, senza rinunciare a una componente intimista o a omaggi ai “maestri” (come Paolo Conte in Un conte al piano, Capossela, Tenco e il cantautorato italiano un po’ dappertutto) e soprattutto al teatro, che è, in fondo, lo scenario in cui si svolge l’intero disco.
Infatti, come il suo predecessore La sagra del buio, anche Melting Pot è un disco estremamente teatrale, che manifesta un grande amore da parte dell’autore nei confronti dell’arte e di tutte le sue diverse manifestazioni, dal teatro, alla musica, alla letteratura; è un disco ironico ma capace di essere acuto e critico, caratterizzato da basi musicali ricercate e superbamente arrangiate ma allo stesso tempo spontaneo nei modi di esprimere concetti e raccontare, ben lontano dal barocchismo lirico in cui sarebbe stato facile cadere in storytelling come La polvere e la colt. Il teatro è l’anima di questo disco, che pur essendo un album musicale ne assume dei caratteri tipici: la frase sopracitata di Gigi Proietti potrebbe essere una buona chiave di lettura, perché nel suo narrare storie d’altri tempi, d’altri mondi, o vicine alla nostra realtà ma comunque sublimate dal filtro dell’arte, Tarifa Pardo non fa altro che parlare della realtà, della sua e della nostra realtà, mettendosi di fronte ai suoi problemi, ma anche alle sue meraviglie. Noi, pubblico che osserva ciò che succede sul palco, assistiamo a uno spettacolo che ci emoziona, che, pur essendo una storia inventata, parla della nostra realtà, quella “fuori” dalla sala in cui ci troviamo: questo sembra essere uno degli intenti di Melting Pot, che si pone nei confronti dell’ascoltatore in questo modo.
Tarifa Pardo in ogni traccia presenta una diversa ambientazione, un diverso “impulso” estetico, che sia il mood fantascientifico di M.A.T. (Modulazione analitica del tempo) o quello più western di La polvere e la colt. I generi, musicali e letterari, vengono attraversati magistralmente da un autore che si rivela estremamente versatile, per quanto dotato di una riconoscibilità assoluta, che sia per uno stile di scrittura maturo e consapevole, per un gusto quasi decadentista nei confronti del “bello” e del ricercato, o per la sua R, che rappresenta un ulteriore tratto distintivo più che difetto di pronuncia.