Joe Pisto ha pubblicato quest’estate il suo singolo più recente, intitolato “I Can Try” e realizzato in collaborazione con il celebre musicista neo soul Omar Lyefook, noto come Omar – che vanta collaborazioni con artisti del calibro di Stevie Wonder, Erykah Badu, Level 42, Carleen Anderson e molti altri. Si tratta di un brano che vuole sancire l’amicizia personale e artistica tra i due cantautori.
Abbiamo intervistato Joe Pisto per parlare del suo nuovo singolo “I Can Try”, del percorso artistico e della sua doppia attività professionale di musicista e di insegnante di canto jazz presso il Conservatorio Giovan Battista Martini di Bologna.
Ecco che cosa ci ha raccontato!
Buongiorno Joe, raccontaci quando inizi ad appassionarti al mondo della musica jazz?
Buongiorno! Diciamo che la musica jazz in senso tradizionale è entrata nella mia vita abbastanza tardi, perché mi sono avvicinato alla musica dapprima con il pop rock e poi studiando chitarra classica in Conservatorio.
Poi un giorno comprai il primo vinile di jazz: “Blue Benson” di George Benson. M’innamorai di quel modo di suonare, che mi ha portato in seguito ad approfondire il linguaggio jazz, rimanendo comunque aperto ai diversi generi musicali.
Cosa significa per te fare musica in un periodo così complesso?
Sicuramente significa evadere da tutta questa situazione assurda, che dura ormai da troppo tempo!
Scrivere musica, studiarla, ascoltarla e produrla mi ha permesso di non fermarmi in un momento in cui tutto lo era e ad allontanare tutti i pensieri negativi che cercavano di uscire fuori con forza. È stata – ed è – una valvola di sfogo e una panacea per ogni situazione.
Bisogna essere capaci di convogliare i propri vissuti nella propria arte, nella propria musica, per poter avere un effetto catartico.
Come nasce l’idea di incidere “I Can Try”?
Tutto nasce appunto in questo lungo periodo di fermo causa pandemia.
Ho pensato di scrivere un brano che potesse sancire la lunga amicizia personale e musicale che mi lega ad Omar.
Ho fatto ascoltare il brano ad Omar e lui è stato entusiasta di cantare con me, dando il suo contributo musicale con il suo stile unico!
In questa produzione ho coinvolto alcuni carissimi amici e grandi musicisti con i quali ho condiviso moltissimi palchi tra cui proprio alcuni tour in Italia con lo stesso Omar: Michele Papadia all’organo, piano rhodes, moog e tastiere di ogni tipo, Antonio Petruzzelli al basso, Marco Frattini alla batteria. Grazie ancora, ragazzi!
Il tuo legame con Bologna la tua città attuale, quanto ti ha influenzato nella sperimentazione e nella ricerca di nuove sonorità?
Be’, sono arrivato a Bologna nel lontano 1998, e sicuramente in quel periodo della mia vita avevo avuto pochi stimoli musicali e creativi avendo vissuto in un piccolo paese della Basilicata in cui la realtà artistica e il confronto erano pressoché inesistenti.
Per cui l’impatto fu certamente positivo, mi ritrovai in una città che mi offriva svariate opportunità.
Ho avuto la possibilità di collaborare con tantissimi artisti in ambito jazz, soul, e pop accrescendo così il mio bagaglio musicale.
Com’è stato collaborare con un artista del calibro di Omar?
Se pensi che alla fine degli anni Novanta ascoltavo i suoi dischi e impazzivo per la sua voce e poi dopo anni mi sono ritrovato a suonare e cantare con lui… Be’, un sogno che si realizza!
Nella tua vita professionale c’è anche un altro importante elemento: sei anche insegnante. Cosa rappresenta per te?
Sì, ho quasi sempre unito l’attività concertistica con l’insegnamento. Ho avuto tantissime esperienze didattiche: con gruppi di bimbi della scuola primaria, poi nella scuola Secondaria di primo grado e infine nei Conservatori di musica. Ognuna è stata motivo di crescita umana e professionale. Insegnare è un compito molto arduo perché ti trovi sempre di fronte identità completamente diverse, con aspettative diverse.
Lo studente dovrebbe essere sempre al centro della lezione e il docente dovrebbe accogliere ed essere disponibile a far si che l’apprendimento sia sempre stimolante e motivo di crescita continua.
Insegnare significa donare il proprio sapere senza alcun limite. Una missione. Spero di esserci riuscito al meglio fino ad ora e di continuare comunque a migliorarmi.
Un’ultima domanda, come definiresti la tua musica?
Domanda difficile… Sicuramente la mia musica rappresenta il mio essere, la mia anima più profonda, i miei dubbi, le paure. È l’unico mezzo con cui riesco ad esprimere al meglio me stesso in modo completo e vero.