– di Matteo Giacchè –
Ci mette la faccia, Guglielmo. Su sfondo giallo, si staglia il volto ben impacchettato nel cellofan di Willie Peyote, per la copertina del suo nuovo lavoro in studio: Iodegradabile, uscito lo scorso 25 ottobre.
Un album che sembra prendere in esame temi tanto scomodi quanto sotto gli occhi di tutti, dei quali, anche nelle dovute sedi, nessuno si fa realmente carico.
Politica a parte, lo stile musicale è simile a quello dei due album precedenti, ma si percepisce qualcosa in più: diluite ulteriormente le sonorità puriste dei primi lavori, il rapper aggiunge qualche altro ingrediente segreto, preparando un personalissimo cocktail di hip-pop, cantautorato, indie e rock.
A mettere insieme così tante cose si rischia l’intruglio, ma in questo lavoro l’artista torinese mostra maturità e consapevolezza tali da permettergli di essere tanto scanzonato quanto credibile e tagliente.
Senza troppi giri di parole, metafore e intellettualismi, dipinge un perfetto ritratto della società odierna senza la presunzione di dare delle risposte univoche, piuttosto con l’ambizione di porsi le domande giuste. Perché è proprio questo il punto, come recitava in Avanvera, dal precedente Sindrome di Tôret: “Qua hanno tutti una risposta, ma qual è la domanda?”.
Le domande le pone lui, sempre riprendendo suoi vecchi brani: “Se sapessimo il tempo che resta, sapremmo davvero utilizzarlo meglio?”.
Dopo un Intro in modalità Frankie Hi-NRG, in Mostro parte con la messa a nudo di tutte le contraddizioni di chi qualche risposta dovrebbe pur darla, ma preferisce spostare l’attenzione su un capro espiatorio indicato come nemico, mentre chi dovrebbe porre le domande giuste, cerca rassicurazione nelle menzogne pubblicate sulle prime pagine di alcuni giornali.
Temi che riprende in Catalogo, dove analizza anche gli eccessi dei social e delle varie piattaforme digitali nelle quali tutti possono dire la propria, e dove tutti aspirano ad apparire diventando prodotti, come se fossimo tutti catalogati su Amazon. In un sistema dove tutto invecchia in pochi mesi, dove gli influencer guadagnano milioni e la gente è sempre a corto di tempo, “l’obsolescenza programmata è una risorsa, anche nelle relazioni personali”. Perché tratta anche quelle, il buon Willie: le relazioni personali, in particolare quelle amorose. Spogliandole completamente della componente poetica e onirica, mettendo sotto gli occhi di tutti gli aspetti più brutti, ma senza privarle del bello. Il bello di amarsi senza doversi riempire la bocca di frasi smielate, senza il bisogno di pubblicare post ad alto contenuto di zuccheri, con la foto in posa e il filtro bellezza, riuscendo ad essere romantico anche quando non ricorda il nome della ragazza che frequenta, ma si innamora della sua “risata abbinata a quel culo”.
L’amore raccontato in questo album non è quello delle poesie, dei “ti amo” o dei sogni da realizzare insieme: è fatto di serate in piedi con la birra in mano, di risate, litigi, problemi, di sbronze e di corpi che si incastrano perfettamente.
L’originalità di questo album sta nel riuscire a trattare due temi apparentemente distaccati l’uno dall’altro, come il sociale e la quotidianità delle relazioni, sotto la stessa luce, sullo stesso piano, con coerenza e credibilità. Il tutto in nome della passione per la musica che, in Mango, raggiunge il picco massimo, sia a livello artistico sia a livello contenutistico. Uno dei migliori brani dell’album, che si chiude con un omaggio al cantautore italiano, che se n’è andato cantando sul palco, e con un ingresso di chitarra degno di un Tom Morello d’annata.
Con la sua solita pungente critica sociale, Willie Peyote sforna un disco che dovrebbe essere preso ad esempio da chi fa rap, ovviamente, ma anche da chi si cimenta nel cantautorato e, soprattutto, nell’Indie “fatto da cani”.
Iodegradabile è un disco attualissimo e intelligente, ma soprattutto è un disco per tutti.