– di Federico Guglielmi –
Dopo quattro puntate sui prodromi del fenomeno, nelle quali ho tracciato una sorta di cronologia culminata con alcune considerazioni sulla crucialità del MI AMI nel processo che ha condotto alla metamorfosi dell’indie in indiesfiga (quasi come nella de-evolution teorizzata illo tempore dai geniali Devo), è arrivato il momento di illustrare meglio cosa si intenda con il termine che intitola questa rubrica.
Molti me ne attribuiscono la paternità, ma non sono in grado di confermare o smentire. In precedenza l’avrò utilizzato di sicuro in un forum, ma la prima volta ufficiale è stata nove anni esatti fa, nel n.665 del defunto Mucchio Selvaggio, occupandomi del disco d’esordio del gruppo che sarebbe servito da trampolino di lancio a Ermal Meta. Avevo inquadrato la musica dei ragazzi come “una versione patinata e furbetta del più tipico indiesfiga, sospesa da qualche parte tra i Coldplay e il Moltheni meno narcolettico” e non me lo rimangio; aggiungerei solo, per onestà intellettuale, che paragonata a certi abomini attuali la band – dotata di un nome, La fame di Camilla, perfetto per evocare immagini di raggelante mestizia – fa la figura dei Beatles del White Album.
Anni dopo volli recuperare la recensione nel mio blog e il 5 giugno del 2013, in un post chiamato appunto con l’ormai famosa parolina, introdussi il tema con queste poche righe:
“L’indiesfiga è qualcosa che porta gli adepti a credersi parte di una casta eletta, a ritenere figo scrivere e cantare (spesso ragliare) brani sciatti e lamentosi a base di chitarrine e/o tastierine, a guardare con nostalgia i propri vent’anni pur essendo venticinque/trentenni, ad avere una concezione un bel po’ distorta di ciò che è cool in fatto di abbigliamento, eccetera eccetera eccetera“.
Non posso smentire me stesso, ma è ovvio che se cinque anni e mezzo fa la pur abbozzata definizione era perfettamente calzante, oggi ha meno senso: al tempo avevamo solo toccato il fondo, mentre ora si è scavato, e molto. Una buona fetta di quanto allora enunciato rimane però valida, eccome, ma prima di addentrarmi nella stesura del bestiario dei nostri giorni – lo so che attendete tutti di leggere di Calcutta, Gazzelle, Thegiornalisti e compagnia (non tanto) bella, ma abbiate pazienza – dovrò ancora raccontare varie vicende dell’inizio del decennio in corso, decisive nel bene e nel male per il presente. Le tappe piacevoli non mancheranno, ma per il resto dovrò e dovrete affrontare una sfinente, dolorosissima Via Crucis.
Sappiatelo.