(ovvero critica alla critica musicale)
– di Silvia Ravenda –
Quante volte abbiamo decretato insindacabilmente di ascoltare buona musica, beffandoci scherzosamente di chi ascolta “robaccia”?
Ammetto averlo fatto anche io in passato, fintanto che ho iniziato a pormi la seguente domanda: «Chi decide cosa è buona musica o meno?». A questa ho cercato di dare una risposta e, assieme a voi, voglio ripercorrere i passaggi di analisi che mi hanno portato ad una conclusione che sono certa sarà spunto di riflessione.
COSA DICE LA SCIENZA?
Partiamo innanzitutto da un approccio scientifico.
Le neuroscienze, ovvero l’insieme di discipline che studiano i vari aspetti morfo funzionali del sistema nervoso, hanno molto spesso analizzato il rapporto che intercorre tra cervello e musica, in particolare come l’emisfero destro e quello sinistro creino connessioni specifiche nel momento di ascolto di una melodia.
Antropologicamente, inoltre, la musica è stata classificata come la prima vera forma di linguaggio.
La capacità degli ominidi di emettere suoni a intonazione variabile prova che la musica apparve molto prima della parola, come afferma Jeremy Montagu dell’Università di Oxford.
QUAL È L’IMPATTO DELLA MUSICA SUL NOSTRO CERVELLO?
Gli studi hanno infatti dimostrato inequivocabilmente che la musica ha un impatto potente sul nostro cervello, ad esempio può modificare il nostro umore, rilassarci o darci la carica per affrontare una giornata impegnativa.
La scienziata Alice Mado Proverbio nel libro “Percezione e creazione musicale. Fondamenti biologici e basi emotive” afferma però che ” è molto importante non utilizzare la musica come mero riempitivo dello spazio acustico a scopo di intrattenimento. Lo stesso genera stress, iperaffaticamento ed essendo la musica un linguaggio, una forma di comunicazione ricca e profonda, va in tale modo trattata e considerata“.
Alla luce di tutto questo dobbiamo dunque considerare la musica come una vera e propria forma di linguaggio a se stante.
Il nostro cervello sarà quindi chiamato a decodificare come “linguaggio musicale” tutto ciò che noi ascoltiamo con attenzione e “interferenza” tutto ciò che viene messo in sottofondo durante lo svolgersi di un’attività, ma un approccio esclusivamente scientifico non è sufficiente per rispondere a quanto ci stiamo chiedendo.
CONTESTO STORICO-CULTURALE
Un ulteriore aspetto da valutare è il contesto socio-culturale in cui cresciamo.
Se è vero che un bambino impara una lingua madre sulla base di quella parlata in famiglia e considerato che, come abbiamo spiegato, la musica è a tutti gli effetti una forma di linguaggio viene da sé che saremo portati a sviluppare il nostro gusto musicale sulla base della musica ascoltata dalla nostra cerchia sociale primaria, la famiglia e in età evolutiva, i nostri amici.
Sia chiaro non voglio assolutamente fare un discorso elitario, bensì analizzare in maniera quanto più oggettiva possibile gli aspetti che ci portano a decidere cosa è “buono” e cosa non lo è (per noi).
Consideriamo, ad esempio, un bambino che cresce in un ambiente dove si ascolta musica jazz, egli sarà più facilmente indirizzato ad ascoltarla anche da adulto circondandosi di persone che magari, tra gli altri generi, apprezzano anche il Jazz.
IL GUSTO MUSICALE DURANTE L’ADOLESCENZA E L’ETÀ ADULTA
Non nasciamo con un determinato gusto musicale, lo sviluppiamo crescendo sulla base degli stimoli che riceviamo fin da piccoli, esattamente come impariamo una lingua con una tipica cadenza dialettale.
Se è dunque fondamentale l’imprinting in età infantile il gusto musicale si sviluppa in altre due fasi evolutive: l’adolescenza e l’età adulta.
L’adolescenza è un momento cruciale della vita di ogni individuo, è lì che si ricerca affermazione identitaria e accettazione all’interno della propria cerchia sociale. La musica da sempre è stata canalizzante in tal senso, infatti, ascoltare un determinato genere musicale ci fa sentire parte di un gruppo e ci identifica all’interno della società, esattamente come vestire in un determinato modo. È in questa fase che “l’ambiente” prende il sopravvento rispetto l’età infantile, la scolarizzazione nonché la possibilità economica incidono in larga parte non solo sulle scelte di vita di un adolescente ma anche sul gusto musicale (generi ad esempio come il Punk o il Rap non sarebbero mai nati se non ci fosse stato un impulso di ribellione nei confronti dello status economico sociale in cui vissero i protagonisti di queste scene).
Nell’età adolescenziale il retaggio familiare può essere interiorizzato o totalmente respinto nella cosiddetta “fase di ribellione” in cui tutto ciò che viene proposto in ambito familiare “non va bene”.
In età adulta i due momenti evolutivi sopra citati, infanzia e adolescenza, si fondono liberandosi però da sovrastrutture giovanili.
Così come l’individuo è socialmente formato anche il gusto musicale si cristallizza in maniera definitiva.
Alla luce di quanto detto la musica è un linguaggio che si impara fin da piccolissimi, che viene influenzato dal retaggio familiare e dall’ambiente in cui viviamo.
C’È UN MODO PER CAPIRE COSA È BUONA MUSICA?
Su un noto social ho, quindi, sottoposto il mio pubblico ad un sondaggio chiedendo loro se ci fosse un modo per capire cosa è buona musica o meno.
I risultati di questo sondaggio, molto partecipato, sono stati sorprendenti: tutti i musicisti, indipendentemente dallo strumento o genere suonato, hanno risposto che per definire insindacabilmente la buona musica bisogna concentrarsi sulla sua esecuzione, sugli accordi sulle scale…
I musicofili non musicisti, invece, hanno identificato buona musica quella in grado di emozionare.
Viene dunque spontaneo capire che il linguaggio di un musicista è di tipo tecnico ed analitico, un ascoltatore avrà un approccio più emotivo.
In entrambe i casi il risultato però è il medesimo ovvero la sensazione di benessere che si prova ascoltando della musica.
SEI TRISTE? ASCOLTA MUSICA ALLEGRA!
Ritorniamo infine alle neuroscienze, abbiamo detto che la musica ha un impatto potente sul nostro cervello, ma perché? La musica agisce direttamente, contribuendo al rilascio di endorfine e dopamina, due neurotrasmettitori coinvolti nella generazione del piacere, del buonumore, di stati fisici connessi al benessere e all’assenza di dolore. Il consiglio che esperti in comunicazione e linguaggio danno è, infatti, di non ascoltare musica in base al nostro umore bensì in base all’umore che vorremmo in quel determinato momento (per capirci se siamo tristi dovremmo ascoltare musica che ci renda felici e non ci deprima ancora di più, può sembrare sciocco ma funziona, provare per credere).
L’emozione è quindi la risposta chimica che il nostro cervello mette in atto attraverso l’ascolto del linguaggio musicale, ovvero tutto ciò che abbiamo appreso dalla nascita fino all’età adulta, sulla base dei contesti sociali e processi psicologici a cui siamo sottoposti.
In un’epoca in cui c’è la rincorsa alla recensione, al feedback, in cui semplici giudizi sembrano insindacabili perché dettati da persone competenti o riviste autorevoli, si deve sempre tenere a mente che non sono altro che mere valutazioni soggettive, nessuno, dunque, può arrogarsi il diritto di decidere arbitrariamente per noi.
Non ci potrà pertanto mai essere oggettività nel decretare cosa è buono e cosa non lo è nella musica, con buona pace di tutta la critica musicale.
Buongiorno,credo abbia espresso,con estrema semplicità e logica, lo scopo della musica , aldilà degli aspetti commerciali.come le altre arti, quello di donare “benefici”alle nostre anime .guarirle,stimolarle,rasserenarle,confortarle.il musicista che riesce a centrare più degli altri,questi obbiettivi,verso il pubblico, aldilà della propria bravura tecnica, è quello che “da”di più.complimenti per la sua analisi riguardo al mondo musicale , perché è realmente così . Non ne vedo altre .
Buona giornata .
La ringrazio infinitamente