– di Giacomo Daneluzzo –
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“If it’s never new and doesn’t get old, it’s a folk song”
“Se non è mai stata nuova e non invecchia mai, allora è una canzone folk”. Così parlava della sua musica Llewyn Davis nel bellissimo film del 2013 A proposito di Davis, firmato dai fratelli Coen, quasi omonimi del pilastro della folk song Leonard. Contrariamente a quanto si possa pensare, questa frase non taccia la musica folk di scarsa originalità, ma mette in luce il fatto che la canzone folk è qualcosa che va oltre all’essere solo una canzone: c’è un sentimento di fondo, che è quello, proprio lo stesso che si sente ascoltando il primo Dylan o il primo Cohen, o se preferite certi lavori di Guccini o di De Gregori; quella sensazione di starsi ricollegando a una tradizione musicale e poetica con radici profonde.
I Moka Quartet sono giunti nel 2018 al loro secondo lavoro discografico completamente indipendente, finanziato, come il primo (Dalle case ai marciapiedi, uscito nel 2015), attraverso il crowdfunding: si chiama Libera i tuoi passi e, nonostante la citazione di prima, non è un disco folk. Non solo, almeno.
Anche se non si può dire che sia in tutto e per tutto un disco folk, il suo “lato folk” emerge prepotentemente, imponendosi su quello “rock”, soprattutto in alcune tracce, se non nella musica (che è divisa tra le due “anime” del disco in modo piuttosto equilibrato) nell’attitudine dei testi, nell’immaginario che creano.
La band di Reggio Emilia costruisce un disco che oscilla tra il rock alternativo e il folk/folk-rock, amalgamando bene i generi e costruendo un album musicalmente pulito e curato. Se da una parte abbiamo chitarre acustiche, armoniche a bocca e canzoni costruite in modo tipicamente folk (Sulla banchina, Quando tutto tace), dall’altra abbiamo una decisa tensione verso il rock alternativo (Scommetti che corri, Il brigante).
Dal punto di vista dei testi i Moka Quartet con poche parole dipingono in modo estremamente accurato stati d’animo e situazioni in pieno spirito folk (ne è forse l’esempio più lampante Musico fallito, un inno alla vita dell’artista “ai margini” della società, vera perla del disco), attraverso canzoni che sembrano quasi brevi poesie cullate dalle loro melodie.
Un disco ibrido, equilibrato e ben costruito per musica e testi. Un disco in parte folk, in parte no, ma che dà l’impressione di riallacciarsi a un filone musicale con una storia importante, ma che allo stesso tempo risulta originale, affatto scontato e capace di “non invecchiare”.