• Di Giacomo Daneluzzo
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Stanze è il titolo del secondo album di Giulia Ventisette, uscito il 27 (!) settembre 2018 per La Stanza Nascosta Records. La cantautrice fiorentina, vincitrice del Premio Under 35 di Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty con il brano Tutti zitti, che affronta le terribili condizioni dei lavoratori precari, fa ritorno così nel panorama musicale a tre anni dal suo primo lavoro autoprodotto, L’inverno del cuore.
Ciò che collega le 12 tracce del disco è la volontà, attraverso i testi, di “far luce” (come si può notare dalla lampadina sulla copertina, a meno che non sia solo un viaggione mio) su quegli aspetti della società di cui forse si parla troppo poco, tra cui il mondo del lavoro, la disinformazione, la mafia e, più in generale, le aspettative della società sotto cui gli individui possono essere schiacciati.
Ma se alla base dei testi c’è un lavoro notevole, non è da meno la parte musicale: prodotto da Franco Poggiali e dalla stessa Ventisette, il disco è senza dubbio il risultato di una grande ricerca di suoni; un album acustico, in cui chitarre e pianoforti la fanno da padrone, con incursioni di archi (Te lo dico con una canzone, Burattino, Figli d’arte) e fiati (Soldatini di carta, Il sale sugli occhi), così da formare un mosaico di sonorità inseribili nell’ampia definizione di “pop cantautoriale”, ma con richiami folk e smooth jazz, un po’ alla Acoustic Alchemy.
Se di canzoni di critica sociale se ne sono fatte tante, ciò che colpisce di Stanze è come Giulia Ventisette riesca ad associare a una critica sensata di vari aspetti problematici della società una certa grazia, un sentimento poetico di sottofondo a tutte le immagini proposte, oltre che una buona dose di ironia, accanto a pezzi più personali come la dichiarazione d’amore Te lo dico con una canzone e Psicanalisi, forse il testo più ermetico dell’intero disco.
L’album non appare come uno sfogo o un’invettiva, né un’amara rassegnazione: la forza del disco sta nel suo sguardo estremamente lucido e al contempo ironico (che a tratti mi ha ricordato alcuni pezzi di Caparezza) su molti “dettagli” del quotidiano; il tutto sopra un tappeto musicale ampio e apprezzabile, sicuramente distante dalle sonorità che vanno per la maggiore oggi.