Kublai è la creatura musicale di Teo Manzo, cantautore che si era già ben radicato nella scena musicale milanese, che aveva pubblicato un disco dal titolo “Le Piromani” muovendosi in agilità nell’ambito del cantautorato.
E qui, reduce da qualche scossone e da una infinita serie di serate di cover e dal progetto De André 2.0 (nel quale abbiamo visto anche Fabrizio Pollio come compagno di avventure), Teo Manzo diventa Kublai.
Suggestioni dalle “Città invisibili” di Calvino, dove viene narrata l’amicizia tra Kublai e Marco Polo, l’alternative rock degli anni Novanta, le chitarre degli Afterhours e quella voglia di musica suonata dal vivo, sganciandosi dalle dinamiche degli store digitali e dalle loro regole dove è rigoroso dover assomigliare per forza a qualcun altro, la voce che si intreccia alla musica senza sovrastarla, i testi che non prevaricano nulla, ma si nascono dentro un disco di debutto omonimo, che ha visto la luce alla fine del 2020.
E, vuoi per il per il periodo di sovrabbondanza musicale, vuoi perché non si è potuto suonare molto (e anche adesso non è che proprio sia così facile), avevamo perso o sottovalutato.
IL PASSATO
E invece il disco “Kublai“ è da ritrovare: una conversazione infinita senza un vero e proprio interlocutore e la voce di Teo Manzo, senza virtuosismi esposti a voglia di mostrar di saper fare a tutti i costi, fa in modo che il protagonista di questo disco, probabilmente lo stesso Teo, si esponga ad un dolore atroce, fino alle soglie del dolore, che si snoda fino a diventare universale.
Non c’è nessuna estetica di questo dolore, solo un dato di fatto che finisce ad accumulare tutti, Teo, Kublai, Marco Polo che tornerà dal suo amico senza più ritrovarlo, l’ascoltatore e tutti gli altri personaggi collaterali di questa storia che arriva fino all’Oriente più lontano. Il disco d’esordio di Kublai, di questo 2020 che sembra così lontano, sono nove tracce senza tracce: di ritmi composti, di pochi ritornelli, e di parole che sfumano e si legano brano dopo brano.
Un disco unico, un concept album, neanche troppo dichiarato. Un esordio quasi timido, che dice tanto senza urlare mai.
IL PRESENTE
E due anni e mezzo dopo siamo qui, con un nuovo disco dal titolo “Sogno vero”. E se nell’altro disco da qualche parte Kublai parlava di un sogno vivido, qui emergiamo dalla nostra vasca di dolore, per riemergere in nuove suggestioni elettroniche.
La dimensione onirica è pur sempre imperante e rimane, ma a partire da “Una notte più lunga”, una nuova aggressività positiva di riporta alla realtà. Finita la sospensione del Covid, finita e forse anche molto lontana la morta di Kublai (il personaggio storico da cui prende il nome l’intero progetto), una nuova spinta per ricominciare. Complice la produzione enigmatica, elettronica, vibrante ed oscura di Vito Gatto, questo disco è un piccolo rave di cantautorato rock che vi consigliamo di non perdere.
IL FUTURO
Teo Manzo ci ricorda, e neanche così velatamente, quanto sia bello fare e ascoltare musica senza che vi siano rincorse inutili a scene musicali cittadine, a featuring senza senso ed amore per alzare le interazione di Spotify, ospitate assurde e snaturanti ai vari Spaghetti Unplugged del caso e a tutti i contorni che fare musica da indipendenti sembra richiedere. Kublai è ancora possibile, e oggi dovremmo dire un salvifico “meno male”.