Guido Maria Grillo, dal Cilento, seguendo un richiamo che lo ha portato prima a Parma e poi per la strada, in un tour che ha attraversato per anni lo Stivale, arriva fino a Torino. Esce l’11 marzo in digitale l’EP “Torino chiama”, prodotto da Goodness Factory, che proprio a Torino ha base ed opera. Un connubio lavorativo e umano che mostra i suoi primi frutti nel video in anteprima de “Il mostro”, presente sul disco e realizzata dal vivo sul palco del CAP10100 della città della Mole Antonelliana, in formazione duo che vede, al fianco di Guido, Max Magaldi alla batteria.
Abbiamo raggiunto Guido Maria Grillo per qualche chiacchiera a riguardo del brano, del nuovo EP in uscita, di Torino, del collaborare con altri musicisti e dell’essere musicisti oggi.
Come sei arrivato a interagire con la scena torinese?
Per caso. L’anno scorso, durante il lungo tour, siamo arrivati a Torino dove ho iniziato ad interagire con Goodness Factory, un collettivo che si occupa di management, booking e produzioni. Ci siamo piaciuti a vicenda da subito, Torino è la mia seconda casa lavorativa. Dopodichè ho iniziato a interagire con la scena musicale torinese, collaborando con alcuni esponenti, come Bianco o Daniele Celona, Cecilia e Marco Notari. Quelli che poi hanno contribuito con i duetti su “Torino chiama”.
Quello che si sta affermando in Italia è la “scena”. Ma solo a Torino questa scena sembra davvero lavorare insieme per qualcosa.
Vero, mi son trovato a che fare quasi con una famiglia: questi musicisti sono in relazione e le storie dell’uno appartengono all’altro, i membri dialogano molto. E questo contribuisce a creare una unità, di intenti e di progetti. Per pura casualità si è intrecciata alla mia realtà, tramite i ragazzi di Goodness, che per facilitare il mio ingresso nella realtà torinese hanno pensato fosse bello collaborassi con quelle che erano diventati miei amici, e sono nate delle collaborazioni molto belle.
Vieni dal sud, poi tanti anni a Parma e poi Torino. Com’è venire dalla provincia per affacciarsi al mondo professionale?
La provincia da cui vengo è remota, ha un doppio rovescio della medaglia. È stato uno spazio dove ho potuto coltivare la mia passione senza limiti, fondamentale per una formazione iniziale, ma mancava il confronto. È servito confrontarmi con un mondo e un circuito che non conoscevo, e proprio in quegli anni ho pubblicato i miei dischi. Il ritorno alla campagna è stato una necessità, per certi stimoli.
Hai puntato molto sui live negli ultimi anni. Quanto è difficile l’Italia sotto questo punto di vista?
L’Italia è un paese problematico: il live era l’unica carta che potessi giocarmi a carte scoperte per mostrare le mie capacità senza filtri. Ma la musica live soffre tanto. Non so se c’è una soluzione, ma la piega di certe dinamiche discografiche non lascia presagire nulla di nuovo. Io mi tengo cara la dimensione live in cui riesco a dimostrare qualcosa.
Questo nuovo EP rappresenta allora un punto di contatto: “Torino chiama” è realizzato sul palco in presa diretta. È una sintesi di questa urgenza di esprimersi dal vivo?
In parte è questo, dall’altra è l’estemporaneità del progetto. Preservare l’idea nella sua dimensione istintuale ci serviva per valorizzare il discorso della collaborazione, trovarsi con dei musicisti per suonare insieme, per dimostrare quello che si deve con uno strumento e un microfono in mano. È un EP registrato completamente in analogico, e insieme al live ci stimolava come idea.
Una dichiarazione di intenti?
Sì, ma senza esser passatisti, che odio. Il passato è un modello a fronte di un presente e futuro non rosei, per mettere dei punti sulle “i”. il live e l’analogico ha a che fare con la filosofia della mia musica.
In che modo hai scelto i brani e come li hai associati alle collaborazioni?
In maniera arbitraria, scegliendo i brani che avessero conservato la loro indole negli anni. È normale che certe canzoni risultino sbiadite dopo tanto tempo: ho scelto quelle che reputavo ancora valide e le ho associate alle voci e ai caratteri delle persone con cui ho lavorato.
Come è stato il lavoro di collaborazione? Spesso ci si avvicina al materiale altrui cautamente, per paura di mancare di “rispetto” al brano.
Il lavoro degli altri è stato sicuramente rispettoso, anche se ho dato carta bianca a riguardo, per vedere che tipo di suggestioni venissero fuori da una lettura scevra da qualsiasi condizionamento. Sono state collaborazioni in punta di piedi, quasi “pennellate”, anche perché la dimensione del live, con pochi strumenti e minimalista, era essenziale. Sono soddisfatto, tutti hanno interpretato bene i brani. L’intimità è una caratteristica della mia musica.
Il mostro” è l’inedito in un disco di collaborazioni. Questo significa che c’è un nuovo lavoro di inediti in vista, dopo tanti anni?
Il disco c’è. Nel 2013 stavo per pubblicare un disco di inediti che mi è stato impedito per motivi contrattuali e l’ho tenuto nel cassetto. Ho allora deciso di fare una piccola rivoluzione, pubblicando sulla mia pagina Facebook una canzone al mese. Al nuovo disco sto lavorando in queste settimane, in questa sorta di rifugio nel Cilento. Sarà il mio terzo disco ufficiale e “Il mostro” ci sarà.
Come avete strutturato il tour di supporto e il concerto live?
Il duo è lo stesso, con Max Magaldi alle batterie. Il live ha però subito una rivoluzione, specie dal punto di vista del sound,con l’inserimento dell’elettronica. Ci è servito fare il tour l’anno scorso e l’anima live rimane quella in cui mi esprimo meglio. Questo set restituisce giustizia ai pezzi e in duo ho molta libertà di esprimermi come cantante e chitarrista. Le dinamiche stringenti della band non mi prendono.
Se “Torino chiama” Guido Maria Grillo come risponde?
Con la determinazione e la passione che lo contraddistinguono da sempre. Da tanti anni faccio musica e a dispetto di certe dinamiche che indurrebbero i più a lasciar perdere, mi rendo conto che è vitale quello che faccio. E Torino oggi è la città dove più un certo tipo di cultura e diffusione che altrove non esistono. Credo e spero che la pubblicazione di questo nuovo disco di inediti abbia una partecipazione della scena torinese. Sono in preproduzione ma l’obiettivo è quello di proseguire il percorso.
Riccardo De Stefano