Presentata al Medimex 2019 l’anteprima italiana del documentario “Woodstock – Three days that defined a generation” del documentarista e sceneggiatore americano Barak Goodman.
– di Anna Rita Di Lena –
Quando si pensa a Woodstock, si ricordano i grandi artisti che si sono esibiti sul palco, le centinaia di giovani presenti che hanno dato il via alla cultura “hippy” al “peace&love”, l’amore libero e le droghe libere. La totale libertà di espressione legata alla “non violenza”. Dobbiamo ricordare che gli anni intorno alla “summer of love”, alla “beat generation” e la psichedelia, erano anche quelli della guerra in Vietnam, dove i ragazzi venivano chiamati ad arruolarsi senza alcun preavviso, per sparare a dei perfetti sconosciuti rischiando di morire per una guerra che non avevano chiesto. Erano gli anni in cui Martin Luther King e il presidente degli Stati Uniti, Kennedy, sono stati uccisi. Proprio loro che erano dalla parte del popolo e dei diritti dei più deboli. Non dimentichiamoci le lotte contro l’apartheid che teneva divisi i neri dai bianchi. E c’era invece una moltitudine di giovani che non si vedeva più rappresentata da quel tipo di America. E così, anche soltanto attraverso un festival di musica, hanno dimostrato, inconsciamente al mondo intero che si può essere diversi dall’omologazione imposta dal sistema e collaborare gli uni con gli altri senza farsi del male. Da quel festival, sono usciti tutti illesi. Nessuna rissa, tra l’altro. Pare che solo una persona non sia sopravvissuta, perché investita da un camion mentre dormiva. Fu l’unico caso di incidente avvenuto sul luogo.
I fondatori del festival erano: Michael Lang, John P. Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld. Erano quattro ragazzi con il sogno di fare del rock ‘n’ roll una professione. L’idea del festival era nata per racimolare denaro sufficiente per creare uno studio di registrazione. Avevano alte mire i ragazzi. E l’idea era vincente, considerati i nomi in scaletta. I problemi sono sorti durante la scelta del luogo.
Walkill fu la prima scelta. Una cittadina dell’Orange County a New York. Nella primavera del ‘69 i ragazzi pagarono diecimila dollari per affittare il Mills Industrial Park. Ma a un mese dalla data di inizio concerto, le autorità locali non permisero tale scelta perché sarebbe occorso un permesso speciale su manifestazioni di così grande portata e i servizi sanitari non sarebbero stati a norma, considerata la capienza prevista di cinquantamila persone. Così, in sole quattro settimane di tempo, i ragazzi dovevano trovare un’altra location, smontare il palco precedente con tutti gli impianti e ricostruirlo in un altro posto. Montare le recinzioni per delimitare l’area del concerto, far alloggiare gli artisti, trovare i fornitori di cibo e bevande e farli sistemare con i camion. Adibire l’area di servizi igienici e sanitari adeguati, infermeria… Una roba impossibile!
Ma i ragazzi non hanno mollato e la scelta definitiva è ricaduta su Bethel, una cittadina rurale a 69 km da Woodstock. Prima ci fu l’ipotesi di organizzare il concerto nella tenuta di Elliot Tiber (sceneggiatore e scrittore statunitense) ma, rendendosi conto che l’area fosse ridotta, presentò loro il proprietario di un caseificio, Max Yasgur, che li salvò definitivamente. I ragazzi pagarono settantacinquemila dollari d’affitto, più altri venticinquemila ai proprietari confinanti. Ormai, la storia dei “cinquantamila partecipanti” per non pagare i permessi non reggeva più. I ragazzi avevano già venduto centottantaseimila biglietti e chissà quanti altri ne avrebbero venduti se soltanto le recinzioni avessero retto! Si perché, a ridosso della data di inizio concerto, i lavori per mettere in funzione l’area, non erano terminati ma iniziarono ad arrivare i primi visitatori che progressivamente prendevano posto nel parco. I ragazzi hanno dovuto scegliere se continuare a montare il palco con tutta l’apparecchiatura annessa e far funzionare il concerto, oppure impiegare il tempo a completare l’affissione delle recinzioni per permettere alla gente di restare fuori e pagare al botteghino. Ma entrambe le scelte avevano conseguenze nefaste. Se sacrificavano il primo caso, sarebbe andato a monte il concerto con denunce per truffa e avrebbero dovuto restituire, non solo i soldi dei biglietti, ma anche il cache degli artisti e pagare i fornitori. Nel sacrificare il secondo, non ci avrebbero guadagnato nulla ma almeno non sarebbero finiti in galera! Viene chiaro, adesso, dedurre perché il mitico concerto di Woodstock fu gratuito.
Tra l’altro, in quei giorni, c’erano vere e proprie campagne promozionali, fatte dai residenti, contro la realizzazione del festival con striscioni che dicevano “Buy No Milk” oppure “Stop al Hippy Music Festival di Max”. Insomma, arrivare al fatidico 15 agosto, data di inizio del festival, sembrava un traguardo sempre più arduo. Ma gli organizzatori ci hanno creduto e i visitatori ancor più di loro. Quando si era sparsa la voce che il concerto fosse diventato gratuito, arrivarono migliaia di persone in più, decisamente oltre ogni aspettativa.
C’era un’atmosfera caotica. Si prevedeva arrivassero, non più di centomila persone, nella migliore delle ipotesi. Invece ne arrivarono oltre quattrocentomila e non c’era nessuna struttura in grado di accoglierli. Né abbastanza cibo e bevande. Non solo. Le strade di Bethel erano tutte bloccate dalle macchine. La gente le abbandonava lungo la strada ed arrivava a piedi, anche per chilometri, perché non c’era altro modo. L’intera zona era raggiungibile solo tramite elicotteri. Il governatore dello stato di New York dichiarò l’area come zona disastrata.
Per poter gestire tutte quelle persone in sicurezza, gli organizzatori del festival avevano coinvolto una comune hippy. Si chiamava Hog Farm e faceva da centro assistenza al festival per cibo, acqua e farmaci. Era attiva dai primi anni ’60. Per controllare che non ci fossero problemi di ogni sorta, era presente sul posto una squadra di polizia alternativa, chiamata “Please Force” invece di “Police Force”. Per far rispettare le regole, i “poliziotti” si rivolgevano con gentilezza esordendo con “Per cortesia, Potresti… “. Qualora la gente non avesse rispettato le regole, quelli della “Please Force” erano pronti a spruzzare acqua in faccia o nella peggiore delle ipotesi, una torta addosso!
Durante i tre giorni di festival, sembrava che le mucche fossero molto contente. Poi, finito il festival, per una settimana non hanno dato latte!
Tutta quella gente era difficile da gestire. Arrivò il giorno in cui era finito il cibo e non c’era assolutamente nulla da bere. Così (incredibile ad immaginarlo oggi) arrivarono in soccorso i residenti della zona, che presero tutto ciò che potevano dalle loro provviste casalinghe, e lo portarono in una scuola, che era il punto di stoccaggio della merce, da cui partivano gli elicotteri per rifornire l’area del festival attraverso la Hog Farm. Gli elicotteri erano quelli militari. Gesto altrettanto significativo, considerato il periodo che si si viveva con la guerra in Vietnam ed i giovani assolutamente contrari a quel sistema politico. E non solo. Nonostante fosse comprensibile il momento di necessità fisiologica estrema, senza cibo né acqua, i ragazzi di Woodstock, hanno provveduto ad aiutarsi passandosi il cibo l’un l’altro, senza alcun tipo di prevaricazione. Una situazione così, ha un qualcosa di miracoloso. Era scattato nei confronti della gente esterna, un sentimento protettivo, scaturito dal fatto che tutti quei giovani sarebbero potuti essere loro figli o nipoti. Quello stato di allerta ha generato un grande spirito di umanità, sia all’esterno che all’interno del festival. Anche gli artisti, si erano resi conto che stavano partecipando a qualcosa di incredibile e quando hanno capito che non avrebbero avuto alcun cache, nessuno si è tirato indietro perché ormai a Woodstock era importante esserci. Per quella moltitudine di gente che li ascoltava, in qualunque condizione fisica e climatica. Da ricordare le due giornate di pioggia, in cui i ragazzi, invece di arrendersi e andarsene, fecero skateboard nel fango, divertendosi da pazzi!
Nulla a che vedere con le successive edizioni tenute nel 1994 e poi nel 1999. Scenari differenti, situazioni differenti. La gente era cambiata. Il mondo era cambiato. C’era la tv, nessuna guerra in corso, nessuna ribellione reale se non contro sé stessi. I giovani erano arrabbiati ma non si sa per cosa. Tanta creatività da mettere a disposizione per qualcosa di concreto ma i reali motivi son stati dispersi. La gente, un tempo, credeva nei musicisti e nel loro messaggio, più che ai politici. Oggi i musicisti sono solo un diversivo alla noia. Uno svago dalla stressante routine. Quest’ultimo concetto, può bastare per capire che ciò che si è creato nel 1969 e in tutta quell’epoca, è stato qualcosa che non si ripeterà più. Alla fine dei giochi, l’importante è che ci sia stato.