Suoni insoliti aprono l’atteso, e omonimo, disco della band bresciana Il Diluvio, sembra di essere su una navicella. Persino le prime due tracce sembrano confermare quest’atmosfera spaziale (in ordine: Get On the Moon e Apollo 1). La paura di rimanere in trappola si manifesta con una potente e massiccia sezione ritmica nel secondo brano, memore della tragedia dei tre astronauti della missione omonima, che trova il suo culmine verso la fine del brano quasi come fosse un climax sonoro.
Rain racconta le paure che sorgono quando ci si misura con il proprio “Io”. Immaginate di guardarvi allo specchio, nudi, con tutti i vostri difetti, i vostri rimpianti, le scelte che avete preso e di cui andate fieri o no: Rain è tutto questo, suoni inizialmente morbidi quasi ad accompagnare un’attenta osservazione interiore e personale. Nonostante l’apparente quiete l’ultima parola viene lasciata ad una chitarra distorta, urlo disperato e a tratti rabbioso di una voglia di rivincita su se stessi e suoi propri obiettivi.
I brani sono tutti molto lunghi e degni di attenzione, è percepibile che nascono da sessioni di jam fatte dai ragazzi, ce lo suggeriscono le strutture e le varie sonorità che vanno a mischiarsi creando un’immagine del gruppo molto particolare, quasi eclettica.
Il nostro percorso da ascoltatori procede con Facebroken: ci troviamo davanti all’alienazione tecnologica. Vite virtuali perfette diventano dimensioni parallele di esistenze fisiche poco vissute. Tutto rimane al di là di uno schermo, non c’è condivisione o confronto. I suoni si fanno più rigidi a volte “staccati”.
«Followed by your followers’ life,
Blindly trusting every unbelievable lie,
You feel like you own the World,
But you don’t know anything on Earth outside of your Home»
La pioggia musicale dei ragazzi bresciani si conclude con una sorta di ballad che ci dà un arrivederci su una spiaggia che volge lo sguardo all’apparente infinito disegnato dall’oceano. Lullaby è un rapporto incrinato dalla distanza. Sono aspettative e illusioni che iniziamo a vacillare, rimpianti di amori estivi che stanno svanendo.
Nota dolente, solo una cosa di questo disco: l’italiano. Rimane un ottimo lavoro, e sicuramente un disco da ascoltare, nota british della nuova onda indie-italiana di oggi.
Non vi resta che vederli salire sul palco!
Benedetta Barone