di Riccardo De Stefano
foto di Nicole Vecchia
grazie a Chiara Bravo per il supporto
Che le strade del pop siano infinite, lo sappiamo. Però, cercando nell’ormai consunto panorama musicale italiano, tra quel pop non più parolaccia, ma raison d’être, i Sativa Rose, freschi di partecipazione al Roma Brucia, sembrano quasi candidarsi a nuovi eroi del genere, grazie al loro recente singolo P-XYZ, sottile gioco di melodie efficaci e testi non banali, dove il sound rievoca fieramente un passato synth pop nostrano, non senza intuizioni innovative.
Sativa rose è un nome impegnativo che racchiude vari immaginari, le droghe, il porno… Quanta voglia di giocare c’è in un nome così?
Il nome nasce per caso, cercavamo un nome provocatorio, che fosse un po’ di rottura, non il solito nome italiano stile “Ma che davvero? Perché ti chiami così?”. Così alle prove il batterista dice “chiamiamoci Sativa”, e io “se vabbé Sativa Rose”. La tastierista disse “figo Sativa Rose, cos’è?” “eh mi sa che il nostro nome”. Va a battere su due discorsi, uno è sugli antidepressivi e le droghe leggere, che sono un po’ taboo in Italia, e l’altro il sesso e la pornografia, quindi due piaceri autoindotti che però sono limitati ancora alla sfera intima delle persone. Tutti conosciamo persone che fanno uso di droghe leggere e vanno sui siti porno, lo fanno anche le ragazze, soltanto che non se ne parla. La cosa bella è che, ad oggi ancora, non esiste un altro gruppo in Italia che ha il nome di una porno star, non come omaggio, ma per lanciare questo messaggio, l’emancipazione di questi piaceri autoindotti, cosa che anche la musica è.
Come si può sviscerare il tabù nell’intimità nella musica?
Mi reputo un buon osservatore, ho vissuto molti contesti in cui però non mi sento mai parte. Non mi sento borghese, né proletario: sto bene nelle situazioni con le persone. Lo stimolo di scrivere lo maturi attraverso l’osservazione e lo cerchi di racchiudere in musica. Poi L’abbattimento del tabù è velleitario, non sono più gli anni 70. Non parliamo tanto di sesso e droga nelle canzoni, però usiamo delle allegorie per parlarne. Sono flash, alla fine un buon testo credo debba catturare delle immagini.
In Wendy dici “non credo più nel rock, mi sono dato al pop e ho trovato un contratto”. che cos’è il rock nella scena italiana?
Nell’infanzia sono stato un amante del rock, dai Clash ai Joy, agli Smiths, ai Gun’s ai Deep Purple ma credo che sia morto negli anni 90. C’è stata una ripresa all’inizio degli anni 2000 con il revival indie, Strokes, i Franz Ferdinand, gli Arctic Monkeys, che cercavano una sintesi tra rock e pop. È rimasto però uno spirito. Ritengo che le chitarre siano passate, il futuro è nell’elettronica, nei sintetizzatori però lo spirito è rimasto. Il mio è un discorso di immaginario. Adesso è un mondo in cui si è più perbenisti e si crede che tutti possano fare tutto. Manca quell’assalto frontale che il rock dava. Non solo un discorso di genere, ma il pop adesso è un buon mezzo per raggiungere un fine.
Il pop fino a qualche anno fa era quasi una vergogna. Oggi pare l’unico modo per comunicare con la giovane generazione, che riprende gli anni ’80 ma filtrati dai cliché. Ma cos’è secondo te il pop oggi e perché si è persa questa vergogna del pop?
Perché in un mondo più esposto dove tutti parlano dietro a uno schermo c’è bisogno di un livellatore sociale, che in questo caso è la musica pop, che è la musica delle masse: parla per tutti e di tutti anche se effettivamente non va mai a fondo e questo potrebbe essere il problema a livello di testi.
Qual è la differenza tra il pop della Pausini e l’indie pop?
Il pop della Pausini, di Emma Marrone è quello che può piacere al ragazzino di 16 anni come a mia madre e mia nonna. Lo fai passare nelle radio ed è qualcosa che non disturba. Magari non ti resta dentro, non sarà la colonna sonora della tua vita, però per la maggior parte delle persone è un sottofondo. La musica ha perso un po’ quella sua funzione sociale. Musica che va bene anche solo per tre mesi, e poi ce ne sarà altra.
A tal proposito, singolo o album? Liberato non ha mai fatto un disco e forse non lo farà mai. Voi in che direzione siete?
L’album dovrebbe essere un punto di arrivo e non un ponte. I singoli possono essere un ponte che porta poi a un’isola che può essere un album. La gente divora la musica, non la assapora. Quindi in un mondo in cui la gente divora la musica, un album richiede una soglia di attenzione troppo alta. Noi da piccoli ascoltavamo un album per ore chiusi, davamo un’opportunità. Oggi con Spotify e YouTube si è persa la voglia di scoprire, di ricerca e l’assimilazione. Alcuni dei miei pezzi preferiti sono quelli che al primo ascolto non mi piacevano, e poi al secondo o al terzo li ho rivalutati.
Un pop alla Pausini piace a tutti, e se piaci a tutti non piaci a nessuno. Cosa cerchi con il pop delle tue canzoni?
Il nostro obiettivo è parlare a chi mangia le nostre stesse cose, a chi vive le nostre stesse ansie, a chi ha i nostri stessi problemi. Penso che la nostra generazione sia un po’ sfigata, di passaggio tra due blocchi. La tecnologia ha permesso alle persone di risparmiare molto sul tempo. Noi una volta dovevamo leggerci i libri, non c’erano i tutorial. Quindi il pop asseconda questa mentalità: “io devo stare tranquillo”. Già Calcutta scende un po’ più in giù, ma parla a una generazione diversa. Credo che il migliore adesso a farlo sia Niccolò Contessa, e che testi come “Il posto più freddo” siano dei capolavori perché riesce a fotografare delle sensazioni, delle immagini.
Solo immagini? Non abbiamo bisogno anche di contenuti? Non è questo un limite dello stesso indie pop?
Io la penso come te, sotto sotto la pensiamo simili. Il mio problema è che sto da una parte della barricata. Non ho la sfera di cristallo, non ho una verità, cerco solo di trasmettere agli altri quello che ho dentro e che conservo. È chiaro che la tridimensionalità dei testi servirebbe, ma penso che De André adesso non esisterebbe più, sarebbe sfigato.
Questo pop procede per quadretti, rappresenta delle immagini molto forti da vedere, e questo si riversa in certi tipo di videoclip. Per esempio Lettieri ha indotto un certo linguaggio espressivo all’interno della musica. Un film per raccontare la musica dei Sativa Rose?
“24 Hour Party People” che parla della scena indipendente di Manchester. Ho fatto ghost writer per tanto tempo, ho visto molta musica, attività che mi ha fatto maturare e capire cosa volevo e cosa non volevo esser io. Quando poi ti trovi a fare musica per te… io sono molto romantico, credo che la musica sia ancora arte, cerco la soddisfazione artistica. Per molti sono i like, le views. Tu te li ricordi tre singoli dell’estate scorsa? Molti non lo sanno dire. Nella musica cerco di inserire i miei arrangiamenti, che seppur filtrati dalla musica elettronica, vengono dalla classica. La linea della voce è un mio pallino, cosa per cui ho combattuto con i produttori. Nella musica classica romantica e nella classica in generale c’è il contrappunto, non c’è una melodia sola che canta, come Laura Pausini: tappeto di suoni in cui l’unica linea la fanno la voce e il basso, forse. In tutti i miei pezzi ci sono altre linee che si muovono sotto la voce. Se vuoi un ascolto diverso ci devono essere altri spunti oltre la voce. Ancora adesso i miei “colleghi” non lo fanno, i produttori te lo fanno togliere.
In un pezzo pop perfetto, per te cosa non deve mancare?
Il ritornello, deve rimanere in testa al primo ascolto.
Come si fa a fare il ritornello perfetto?
Ci sono delle regole per farlo ma non te li posso dire qui. A me i miei pezzi piacciono, se non mi piacciono li scarto.