– di Michela Moramarco –
I Réclame sono una band romana che ha da poco pubblicato il nuovo album dal titolo “La vita, l’amore e quello che resta”, di cui vi abbiamo parlato qui. Per scoprire altri dettagli sulle scelte artistiche della band, ne abbiamo parlato con uno dei componenti, Marco Fiore.
“La vita, l’amore e quello che resta”: si tratta di un titolo che la dice lunga, come se l’amore fosse un’esperienza totalizzante tanto da rendere il resto meno rilevante. Che ne pensi?
Sì, è più o meno questo il senso. Nel disco abbiamo cercato di rendere la complessità del sentimento amoroso, il quale molto spesso, soprattutto nella canzone pop viene abusato o perlustrato in modo sciatto, senza che sia restituita una complessità. Il nostro disco esamina varie declinazioni del tema: è presente la storia di una violenza domestica, la storia di una relazione non accettata socialmente; non manca neanche un tradimento. Restituire la complessità del sentimento amoroso è fondamentale per dare un’idea reale anche di ciò che sono i personaggi.
Un disco concepito come una serie di variazioni sul tema amoroso. È stato difficile costruire questo immaginario?
I nostri dischi nascono sempre prendendo ispirazione da fonti eterogenee, ci sono riferimenti letterari come, ad esempio, alla “Lolita” di Nabokov, ma anche cinematografici. Non a caso, il singolo “Conseguenze” ha come videoclip è stato concepito come una serie di spezzoni cinematografici. Il nostro processo creativo non è un iter univoco: siamo quattro componenti con gusti musicali diversi e quindi cerchiamo di attingere e di mettere insieme varie esperienze. Forse c’è anche qualcosa di autobiografico, ma sempre in un modo velato e direi anche mediato.
Come è andata la fase della ricerca sonora? Posso notare una bella evoluzione rispetto al vostro già ben fatto lavoro precedente
Abbiamo voluto creare qualcosa di diverso rispetto all’album precedente che strizza l’occhio all’alternative rock, più cupo nelle sonorità e con testi forse più ricercati, ma anche con la messa in discussione delle strutture pop tradizionali. In questo nuovo lavoro ci siamo ispirati molto anche al pop d’autore italiano, come ad esempio il Dalla degli anni Settanta ma anche Paolo Conte, senza rinunciare ad un certo pop estero anni Settanta. Le contaminazioni sono tante
Il vostro è un album molto narrativo, qual è stato il testo più controverso nella scrittura?
Direi “Fin che morte non vi separi, è posto a metà disco e si potrebbe pensare anche come spartiacque. È stato uno dei più complicati perché affronta il tema della violenza domestica. Che non viene narrata in prima persona dalla donna che è la vittima, ma da suo padre. La vicenda è contraddittoria: lei ama il suo carnefice ma la narrazione è portata avanti dal padre che assiste impotente a questo gioco alquanto perverso, senza riuscire ad intervenire. E poi nel brano c’è una specie di controcanto che dice “non vivo più/non vivi più”. la scrittura di questo brano è stata complicata relativamente alla questione della scelta del punto di vista. Abbiamo quindi cercato di allontanarci dalle scelte semplici che possono essere legate ad esempio all’utilizzo della prima persona.
La vita, l’amore. Cosa resta?
Mi piacerebbe pensare che sia ognuno di noi a dover cercare quel che resta.