– di Martina Antinoro –
Venerdì 25 novembre è uscito “Nello stesso destino”, il terzo disco dei La Notte, band fiorentina che torna, dopo quattro anni, con un nuovo progetto. L’album è composto da nove tracce che si propongono di essere “un diario aperto”, nel quale i membri della band hanno scritto ogni volta che ne sentivano il bisogno. Abbiamo fatto due chiacchiere con loro per ricostruire la storia di “Nello stesso destino”.
Il nuovo album “Nello stesso destino” è uscito il 25 novembre: quale sono stati i feedback che avete ricevuto fino ad ora?
Innanzitutto grazie per lo spazio che ci avete concesso. Abbiamo ricevuto molti apprezzamenti dalle persone più vicine a noi e da quelli che ci seguono da più tempo. Certo non è facile per un progetto come il nostro, rimasto fermo per anni, ripartire ed avere subito un grande feedback, calcolando il nostro stretto bacino di utenza. La missione adesso è quella di andarci a prendere le persone direttamente ai concerti e far conoscere a tutti il nostro disco piano piano.
“Nello stesso destino” è la traccia che dà il nome all’album: cosa vuol raccontare questo brano?
Questo brano vuole raccontare un po’ tutto quello che sta nel filone del disco. È una canzone che parla della gente, di vita normale. Di gente normale che si ritrova a rincorrere le stelle di notte, perché tutti abbiamo bisogno di emozioni forti per andare avanti in questa vita, che non è per niente facile nella maggior parte dei casi. Per noi è fondamentale parlare di cose vere, leggendo i nostri testi si percepisce chiaro il sentimento di realtà.
Avete definito questo album “un diario aperto” nel quale avete scritto ogni qualvolta ne sentivate la necessità. Quanto questa libertà pensi abbia avuto un peso nella riuscita di “Nello stesso destino”?
La libertà artistica per noi è tutto. Quando parliamo alle persone tramite le canzoni, lo facciamo nel modo più sincero possibile, non ci sono filtri. In giro ci sono canzoni scritte per funzionare, spesso musica di sottofondo. Il nostro concetto di canzoni si avvicina molto di più a quella che potrebbe essere una narrazione cinematografica, alla quale lo spettatore deve dedicare la giusta attenzione e concentrazione per non perdersi nello svolgimento. Le nostre canzoni sono così, lo sono sempre state; canzoni che necessitano di attenzione. Probabilmente è in controtendenza rispetto al momento che stiamo vivendo, ma nella musica, almeno in quella, noi non possiamo mentire.
Qual è il brano a cui sei più legato?
Il brano al quale sono più legato è “Alla fine di tutto” che ritengo il nostro brano più completo. Semplice nella sua scrittura ma altrettanto articolato nel suo svolgimento, con molti elementi musicali. Ci sono canzoni che, una volta finite di scrivere, ti fanno provare un grosso senso di gratitudine verso la vita, perché credo che le canzoni siano un dono. “Alla fine di tutto” è stata una di queste.
Un altro aspetto interessante di questo progetto è che avete scelto nove tracce tra quelle che avete composto negli ultimi quattro anni: quali sono le tracce più recenti e quelle più vecchie?
Il disco è frutto di un arco temporale di scrittura molto ampio, circa 4 anni. Per fare un esempio, la prima canzone ad essere scritta è stata “freddo”, mentre l’ultima è stata “portafortuna”. Nel mezzo a questi quattro anni ci sono tutte le altre. Comunque, una volta arrivati alla fase di registrazione e arrangiamento, abbiamo cercato di unire tutte le canzoni sotto la stessa chiave musicale, infatti a mio avviso le differenze temporali di scrittura non si notano molto. Il risultato penso che sia un disco abbastanza omogeneo nella sua varietà, che comunque è un tratto distintivo che ci ha sempre accompagnato.
Giusto una curiosità: avete notate delle differenze tra i brani scritti pre-Covid e quelli scritti post?
Personalmente ritengo di no. Mentirei a dire il contrario. O meglio, probabilmente alcune canzoni scritte post covid, mi viene in mente “portafortuna”, contengono a livello testuale una sorta di senso di rivalsa e di autodeterminazione, quello sì. Ma il disco aveva già la sua forma pre-covid, quindi la pandemia non ha influenzato troppo le nostre canzoni. Piuttosto ha influenzato in modo negativo alcune dinamiche interne ed esterne al gruppo.
“Nello stesso destino” è anche il vostro terzo album: che differenze noti tra questo e il primo progetto? Invece cosa pensi che sia rimasto uguale?
Le differenze artistiche tra questo disco e il nostro primo disco sono abissali: eravamo dei ragazzini che non conoscevano il mondo delle canzoni, volevamo fare casino e andare in giro a spaccare. E l’abbiamo fatto. Crescendo perdi inevitabilmente quell’inconsapevolezza tipica della gioventù e diventando adulto, si creano situazioni che prima vedevi molto lontane e il tuo sguardo verso il mondo cambia. Però è rimasta la cosa principale, l’onestà intellettuale che ci consente ancora oggi di essere una band e di avere un nostro riconoscibile stile di scrittura, che non è stato modificato dal tempo, ma si è evoluto insieme a noi.
Ci sono già dei live in programma?
Certamente ci sono dei concerti in programma, come dicevo all’inizio dell’intervista, per noi i concerti sono tutto. Molto presto usciranno le prime date e speriamo tanto di suonare il più possibile, a partire da adesso fino alla fine dell’estate.