Si dice che tra una persona e l’altra, nel mondo, ne intercorrano al massimo altre 6-7: così è stato per me per quanto riguarda I Dottori. Ne sentivo parlare, me ne parlavano, me li consigliavano e già all’epoca mi chiedevo da persona curiosa il perché di tanti e tali convinzioni: semplice, parliamo di una piccola grande band. “Canzone Perfetta” (2012) è un album di cui sconsiglio l’ascolto completo: potreste trovarci dei difetti e questo personalmente non mi va bene. Sono provocatorio? Può darsi.
Vorrei provaste a fare altro: mettete questo cd nel vostro stereo, esportatelo sul vostro ITunes, apritelo su Spotify e chiudete gli occhi. Per sognare? Se volete.Per capire? Decisamente sì.
Cerchiamo di rispondere assieme ad una domanda semplice, banale e quantomai dovuta: cos’ha questa band in meno di tante altre che invece spopolano e pretendono, senza muovere il culo per meno di 4-5000 euro? Niente, casomai è il contrario.
Può accadere (ed è la regola) che il vostro gruppo, quello dei vostri amici, non riesca a sbarcare il lunario: anzitutto perché rigettato da un sistema corrotto e autoreferenziale che si spegne in primis sulla propria incapacità di cambiare e
adattarsi. In ogni caso, situazioni come quella de I Dottori non le accetto: se è necessario sacrificare un agnello alla dea (o al dio) del mainstream allora che ne muoiano a dozzine. Ma non loro. E anzi, premiamo questo “Canzone Perfetta” fino allo sfinimento, al vomito: così da educare altre 100 band.
Il fatto che quattro ragazzi di provincia siano riusciti a scrivere e interpretare un LP come questo rende commestibile, godibile, il resto della mediocrità che c’è attorno: quando sei in fila alla posta non importa che tu debba spedire la lettera più importante della tua vita, poiché se gli altri ti sono davanti correrai sempre il rischio di non farcela. I Dottori hanno invece il diritto di rubarti il numeretto e andare in goal: non può essere altrimenti.
Inserire nel vostro elenco di riproduzione pezzi come “Belladonna”, “Christine”, “L’Artista” significherà rivoluzionare il vostro ascolto all’insegna del “repeat”: così è stato per me, così è stato per tutti noi che ci siamo già passati.
Io non vi chiedo di uscirne ma anzi di entrarci con tutte le scarpe: magari anche a piedi nudi, così da divenire tutt’uno con la bellezza e la caparbietà di questo disco, che ha veramente pochi eguali nel rock italiano.
Un mix di hard-rock, cantautorato ed heavy-metal: quello che sarebbe successo se Rino Gaetano (sentite che vi dico) avesse avuto modo e tempo di ascoltare i Soundgarden o i Mother Love Bone.
Le scelte stilistiche e di arrangiamento sono lineari, fedeli alla dimensione live e mai banali: la struttura delle canzoni è quella ma così come te l’aspetti non puoi farne a meno.
Potenza dell’abitudine? Base sicura? No: bellezza della semplicità.
Aggiungere altro è difficile quanto forse inutile: se è vero che siamo ciò che mangiamo, allora io mi sento bene. Se ha ragione chi ti dice «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» allora lasciamo stare Amsterdam e concediamoci un glory hole per buona pace di tutti: sperando che dall’altra parte ci sia proprio la musica de I Dottori.
Valerio Cesari (L’Urlo – Radio Rock)
ExitWell Magazine n° 2 (maggio/luglio 2013)