– foto di Simone Pezzolati –
Tre ragazzi fiorentini, un intimo baretto dall’atmosfera soffusa, birre condivise e un bel po’ di sano spirito rock’n’roll. È stato così che abbiamo incontrato per la prima volta i Cassandra. Su un piccolo palco allestito da Germi, delizioso locale milanese in zona Porta Genova, venerdì 1 aprile la band ha presentato ai giornalisti il suo primo album, pubblicato per Mescal: “Campo di Marte”.
Tra l’altro, il caso vuole che qualche anno fa, gli stessi Cassandra con il loro precedente progetto, venissero a suonare proprio qui, al Germi. Il locale si chiamava allora Circolo Cicco Simonetta, ma all’epoca, dopo il soundcheck e tutti i preparativi del caso, nessuno si presentò per sentirli suonare. Questa di oggi, che vede i Cassandra e una schiera di giornalisti qui riuniti, è una piccola rivincita.
Già anticipato da quattro singoli (“Kate Moss”, “Novembre”, “Ti auguro tutto il peggio che c’è” e “Polaroid e paranoie”), questo disco è il punto di arrivo di un percorso cominciato qualche anno fa, un percorso costellato da non poche difficoltà (come i ragazzi ci hanno raccontato nel corso della conferenza stampa), che adesso, guardandosi indietro, fanno quasi sorridere. In effetti, ai Cassandra non manca certo il senso dell’ironia, e questo aspetto della loro personalità è diventata anche una vera e propria cifra stilistica all’interno dei loro pezzi. Lo vediamo ad esempio in alcuni brani che compongono la raccolta come “Il 2020 non esiste”, o lo stesso “Ti auguro tutto il peggio che c’è”. Canzoni che servono sì ad esorcizzare esperienze non propriamente positive, ma con uno spirito che ha un qualcosa di giocoso, vagamente sornione. Tra sonorità fresche e vagamente grezze, a metà tra il pop e il rock, i Cassandra ci accompagnano in un viaggio che è anche un racconto di vita profondamente personale, e proprio per questo è ancora più facile entrarci in sintonia. I Cassandra non scrivono “tanto per”. Nonostante il desiderio di raggiungere un pubblico vasto e suonare sui più grandi palchi, questi ragazzi si rifiutano categoricamente di parlare di tutto ciò di cui non hanno un’esperienza diretta. E forse (anzi, sicuramente) è proprio per questo che i loro brani risultano essere così autentici, tanto nei testi quanto nelle musiche, che di tanto in tanto lasciano volutamente scivolare qualche sbavatura.
Dopo quattro chiacchiere, abbiamo modo di sentire dal vivo e in anteprima qualche brano del disco in versione unplugged. Nel complesso, ci troviamo di fronte ad un debutto da cui non possiamo che aspettarci tante piacevoli sorprese.