– di Giacomo Daneluzzo –
Il nuovo split EP de I Cani e dei Baustelle, nero e senza titolo, è stato qualcosa di unico e meraviglioso per tutta la giornata di mercoledì 6 dicembre. Lo è stato perché nessuno, tranne cento persone, l’aveva potuto sentire. Il sogno di un disco irraggiungibile, immaginato e desiderato, rendeva indescrivibilmente bello ciò che effettivamente si sarebbe potuto celare nei solchi di quei cento vinili distribuiti in dieci negozi sparsi per l’Italia. Ne ho parlato un po’ in un articolo scritto a caldo, in cui raccontavo un po’ com’è andata per me questa storia del famoso vinile de I Cani e dei Baustelle.
Ma, la sera stessa, si è interrotta la magia. Certo, non ne vedevo l’ora e come me un sacco di fan di questi gruppi, perché la curiosità di sentire queste canzoni era forte, ma è innegabile che rendere accessibile l’ascolto dell’EP ha fatto finire qualcosa di speciale che si è creato attorno a questa vicenda. Lo troviamo su Bandcamp, accreditato a I CANI BAUSTELLE (anche nella grafia ICANIBAUSTELLE nella casellina a destra), intitolato allo stesso modo.
E adesso lo possiamo ascoltare. Forse l’abbiamo già ascoltato.
Personalmente l’ho ascoltato su un autobus milanese completamente avvolto in una scighera fittissima, poco prima di mezzanotte, mentre tornavo a casa dopo essere stato al cinema a vedere Coup de chance, il nuovo film di Woody Allen, che è uscito lo stesso giorno, quello prima di Sant’Ambrogio – patrono di Milano. Come previsto, l’EP non mi ha lasciato deluso: due dei miei gruppi/progetti artistici preferiti che fanno delle canzoni insieme è qualcosa di epocale, per me. Difficile che non mi piacesse. Ma a parte il mio amore per I Cani e per i Baustelle (e il fatto che ho sbagliato l’attribuzione titolo-autore, ma a mia discolpa era impossibile saperlo), forse c’è qualcosa da aggiungere su quest’uscita, proprio nel merito delle canzoni, più che di tutto il piccolo fenomeno che si è creato attorno, visto che si è parlato solo di quest’ultimo, fino ad ora.
La mia impressione è che entrambi i gruppi (se vogliamo definire I Cani, progetto solista di Niccolò Contessa, un gruppo) abbiano stili molto diversi e molto riconoscibili. Molti direbbero che c’azzeccano poco tra loro e in un certo senso è vero: si sente che sono due progetti staccati, e sembra senz’altro più I Cani feat. Baustelle o Baustelle feat. I Cani più che ICANIBAUSTELLE, come viene invece presentato.
Non che il collegamento sia proprio nullo. Nel lato A del vinile possiamo ascoltare una traccia che parla dell’esistenza, del tempo che passa, di come nell’esperienza umana nel mondo siano intrinseci degli elementi “oscuri”, distruttivi, che sono universali e distintivi della vita. Si tratta di una singola traccia, di una canzone sola, sì, ma comunque divisa, formata da due parti ben distinte, al punto da meritare due titoli differenti: dopo un’ouverture di chitarra elettrica che riprende le sonorità dell’ultimo disco dei Baustelle, Elvis, la voce di Francesco Bianconi introduce il discorso in Nabucodonosor, magnifico storytelling in pieno stile baustelliano, portato avanti da quella di Niccolò Contessa in Essere vivi, che invece è cantilenante, ipnotica ed eterea, su una base che diventa più dark, elettronica e minimale, scarna. La traccia, comunque, è chiusa dai Baustelle, realizzando così una struttura a uroboro, sottilmente richiamata anche dal serpente nominato da Contessa.
Nel lato B abbiamo di nuovo i Baustelle ad aprire con Canzone d’autore (che sembra uscita da L’amore e la violenza per tematiche e sound), musicalmente più pop della prima e con un testo meno esistenziale e più orientato alla società, osservata con uno sguardo pungente che, seppur declinato in modi diversi, forse è l’unico punto di tangenza forte tra questi artisti; L’ultimo animale de I Cani prosegue sulla stessa linea musicale e tematica, arpeggiando una chitarra acustica e spostando il focus dai massimi sistemi a questioni più “terrene” e affermando, in una nenia quasi ossessiva («Come un essere umano, come un essere umano»), l’umanità delle esperienze di tutti i giorni, dalla nascita alla morte, senza neanche l’aiuto di quel “libretto di istruzioni” che è l’istinto degli altri animali. Riecheggia, conoscendo il lavoro di Contessa, il testo di Protobodhisattva, in cui cantava: «Siamo un animale strano, la scimmia vestita» e affrontava il tema in un modo non così diverso. È interessante notare come, anche in questo caso, siano però i Baustelle a chiudere la traccia, riallacciandosi al testo di Contessa.
In conclusione, le due (quattro?) tracce sono un’ottima sintesi del “cuore” di questi due progetti, ognuno dei quali ha un’identità artistica molto forte, al punto che questa collaborazione non riesce a creare una sovrapposizione di stili: più che una coppia di duetti definirei questo progetto una comunione d’intenti, circoscritta in uno spazio espressivo che tiene conto più dei punti di tangenza che delle (notevoli) differenze stilistiche.
Il ritorno de I Cani era a dir poco attesissimo ed è chiaro che questa release esiste ed è ciò che è più per il fatto che è un nuovo disco de I Cani che per la presenza dei Baustelle; allo stesso tempo, però, e coerentemente al carattere schivo di Contessa, si può notare una certa asimmetria, che vede la pars baustelliana dell’EP risultare preponderante. In soldoni: Bianconi canta di più rispetto a Contessa e, sui poco più di dieci totali, i “minuti Baustelle” sono più dei “minuti I Cani”. E questo si può intendere come un segno del fatto che Contessa ormai da quasi otto anni faccia il produttore per altri artisti (Coez, Tutti Fenomeni, Laila Al Habash…) e che Bianconi sia un grande autore di testi ancora prima che essere un compositore, ma anche come un ulteriore segnale della volontà di Contessa di non esporsi troppo, di non spendere troppe parole, neanche nel momento del proprio attesissimo ritorno.
In effetti c’è una notevole coerenza. Non solo, quindi, spartisce con qualcun altro gli inevitabili riflettori puntati su di sé per il fatto di aver ricominciato a pubblicare delle canzoni, ma nel farlo non si prende troppo spazio, lascia che siano i Baustelle a parlare per lui, a occupare le parole e i minuti che formano questo lavoro. È qualcosa di estremamente “I Cani”.
E la scelta dei Baustelle è significativa. Solo i Baustelle, forse, potevano avere questo ruolo di interpreti, di traghettatori da una sponda all’altra del percorso artistico e umano di Niccolò Contessa: chi meglio di loro per cantare i demoni dell’esperienza umana nell’universo e nella società occidentale? Francesco Bianconi interpreta ottimamente il suo ruolo di Flegïas e riesce a condurlo nel mondo, nella città, e i Baustelle risultano perfettamente complementari, per musica e testi, alle parti de I Cani, nonostante le molte e notevoli differenze stilistiche.
Al netto di tutto questo ICANIBAUSTELLE è un progetto molto gradevole, soprattutto per i fan della vecchia guardia degli artisti coinvolti. E ritengo che si tratti di un esperimento artistico con degli indubbi pregi, nonostante il risultato non sia affatto un amalgama.
Ma ora che è su Bandcamp, ora che non è più solo un disco fisico ma una delle molte cose che si possono raggiungere con un click, ora che non è più un sogno, un’idea, sarà dimenticato presto dalla maggior parte di noi, non appena esaurita la fiammata dell’hype. Ma che dire, forse è anche giusto così: anche ai sogni più belli segue un risveglio, che li riporta all’oblio a cui appartengono. E noi che – per il momento – ce lo ricordiamo proveremo a tenercelo stretto.
Articolo ottimamente scritto e sicuramente uno dei migliori (tra quelli che ho trovato) che hanno descritto questo fenomeno particolare targano ICANIBAUSTELLE.
Faccio solo un appunto a riguardo, se mi è concesso: non penso Bianconi sarebbe per nulla d’accordo nel sentirsi descrivere principalmente come scrittore di testi che come compositore…anzi, penso che si percepisco (a ragione a parer mio) esattamente al contrario