– di Giuseppe L’Erario –
Atmosfere eteree, fortemente condizionate da sonorità derivanti dalla new wave e dal post-rock di matrice anglosassone caratterizzano la creatività e lo stile compositivo degli Hiroshi. (“generoso” in giapponese), giovane gruppo marchigiano alle prese con la loro prima pubblicazione discografica dal titolo Anything. Il sound voluto dalla band nata a Fermo è il risultato finale di una ricerca stilistica ispirata all’elettronica di fine anni Ottanta e ai vari sottogeneri nati agli inizi degli anni Novanta e poi sviluppatisi durante tutto il decennio, che hanno decretato il palese decadimento dell’“instabile” e poco popolare genere rock. In effetti, l’uso massiccio di synth e tastiere, che permette di creare ibridismi con la strumentazione in acustico, posiziona la traversata degli Hiroshi. all’interno dei “mari” già conosciuti dagli amanti della sperimentazione intrapresa da gruppi come i Mogwai e i Sigur Ròs, che all’epoca proposero ai loro fan un ascolto di tipo decisamente avanguardistico.
I molteplici mondi “fatati” del post-rock, che solitamente incorporano elementi presi dall’ambient, dal jazz, dall’elettronica, e dalla musica sperimentale creano una commistione di ingredienti facenti parte di una miscela sonora ricca e mutevole, anche in virtù di improvvisi cambi melodico-ritmici conditi con una larga dose di dinamica. Per alcuni aspetti, la lettura e la scansione dei brani degli Hiroshi. consentono di percepire bene l’amalgama creato dalla mistura di alcuni momenti strumentali ben definiti e dall’enunciazione “incorporea” di testi poetici. La band, senza arroganza, si permette di spaziare su diversi fronti: dall’elettronica “pura” scandita con evidenti intermezzi campionati, al post-rock letteralmente “suonato”, che generalmente è caratterizzato da una fase vocale che fa da supporto al flusso di coscienza di matrice joyciana.
La creazione di queste trame sonore, che si confonde con il resto della strumentazione acustica, è un elemento stilistico molto presente nel disco, ad esempio in pezzi come Run Ran Run, un brano dal sapore nu gaze (un’evoluzione del noto shoegaze di fine anni Novanta), che tra gli elementi identificativi, oltre a un significativo utilizzo di effetti per le chitarre (perlopiù distorsore e riverbero), ha un forte senso melodico delle parti vocali che si rivelano “sognanti”, e quindi vengono trattate come mero strumento supplementare al discorso strumentale. Inoltre, ci sono brani molto vicini alla sperimentazione dell’art rock come “Intimate”, canzone totalmente legata al minimalismo e allo sperimentalismo di musicisti d’avanguardia del calibro di Brain Eno. Il disco procede con la presentazione di altri brani come Float-Realoaded, un pezzo caratterizzato da cambi e dimensioni acusticamente ricercate che creano una sensazione di “galleggiamento” proprio come il titolo stesso ci suggerisce. Infine, brani come “Shapes”, che ha una andatura più inerente alle scelte compositive dei primi U2, quelli di Boy e War, due tra i migliori album che aprirono le porte ai tentativi elettro-acustici intrapresi delle band nate successivamente nel corso degli irriverenti anni Ottanta.
L’avvicinamento a tali concezioni compositive rende più efficace e più evidente l’attenzione sulla parte viscerale e irrazionale della band, in particolare quando gli strumenti elettronici lasciano, almeno temporaneamente, la scena ai loro “fratelli maggiori” acustici. In generale, l’esordio degli Hiroshi. è di buon gusto, principalmente perché dedica la giusta attenzione alla qualità dei suoni (cosa per niente scontata di questi tempi), e poi perché dà una concreta speranza alla conservazione di un genere che, per forza di cose, deve lasciare spazio alla avanzata incontrastata di altri generi musicali vicini a un pubblico meno esigente, quello generalmente vicino al mainstream. Non si possono escludere quindi i complimenti agli Hiroshi., che con il loro esordio Anything impersonano un baluardo di doti artistiche che ancora non vuole arrendersi ai meri prodotti del mercato.