HENRY BECKETT
La scena milanese underground, quella che vive di dischi sotto banco e chiacchiere ai baretti di Nolo, ha anche un personalissimo Ryan Adams che si chiama Henry Beckett. E Raffaele, questo il suo nome al secolo, quello con cui si presenta al bar la sera quando ci si ritrova a parlare di musica, concerti e musica, non poteva sceglierselo meglio.
La domanda che più circola intorno al suo progetto musicale probabilmente è “Ma è italiano o straniero?” perché probabilmente dentro il nome di Henry Beckett vive anche un mondo di influenze musicali che vanno dal folk rock alla scena contemporanea del cantautorato americano, un mondo di influenze stratificate che intrecciano acustico ed elettrico, viaggi on the road e film in bianco e nero. Lo avevamo visto anche al Miami nel 2017, per poi vederlo sparire, come spesso accade nella frenesia delle uscite musicali milanesi.
IL CONCERTO
E dopo quasi sei anni di assenza, rieccoci qui. Siamo al Biko di Milano, in un fumoso venerdì sera dove Henry Beckett sta presentando in trio il suo nuovo album, “Riding Monsters”. La sensazione, al netto dello sciopero dei mezzi e di qualche partita che probabilmente ha assorbito a casa parte del pubblico, è quella di essere a casa: tre amici (Henry Beckett, un chitarrista, un batterista, tutti con delle belle scarpe), dopo un viaggio lunghissimo, dopo che si è fermata la macchina, dopo che forse si è incontrata una tempesta di sabbia, dopo che si è letto insieme “Sulla strada” di Kerouac, dopo che si è fantasticato sull’essere a un concerto di Bruce Springsteen, ma non c’erano più biglietti, e forse neanche i soldi per comprarli. Al Biko non si è assistito tanto a un concerto, quando a un momento sospeso dove i telefoni non erano alzati, dove c’era un dialogo tra ascoltatori e musicisti, dove s’è stati tutt’uno con altri sconosciuti, capitati lì per caso o meno.
Ci manca questa cosa. I concerti da ascoltare e non da chiacchierare. Sospesi ad assorbire questo nuovo disco, un disco triste che però ti fa venir voglia di prendere un volo per gli Stati Uniti e che porta naturalmente ad un dolore condiviso.
IL DISCO
“Riding Monsters” si apre con “I’m calling you”, piccola e intima hit di questo disco che sembra quei brani che suonavano di parole lontane che ascoltavamo al liceo, quando eravamo innamorati di tutti e completamente soli.
Questo disco è per Henry Beckett, per Raffaele, e per chi l’ascolta, un momento di psicanalisi, una pausa dalla frenesia cittadina e dalle voci martellanti e distanti delle playlist Spotify, che ci costringe a guardarci dentro, dove convivono ansie e mostri. Forse è proprio questo il motivo che ci ha fatto aspettare così tanto una nuova uscita da una voce così importante come quella di questo ragazzo, che si nasconde alla scena indipendente ma che invece ha voglia di urlare.
Ci sono le chitarre elettriche desertiche e invadenti, che non abbiamo ritrovato nel live al Biko (a favore di una versione più intimistica dei brani), c’è la nostalgia verso tutta quella musica che, sicuramente, avete amato e forse perso preferendo le scelte degli algoritmi.
Un consiglio? Lasciatevi andare, non abbiate paura di incontrare i vostri riding monsters e con ogni probabilità questo è un disco che ameranno anche i vostri genitori. Ritrovatevi qui.