– di Angelo Mattina –
foto Jacopo Emiliani –
Esistono criteri oggettivi per valutare l’espressione di un artista? Probabilmente sì. E sono gli stessi che inducono a considerare “Senso”, ultima fatica discografica di Guido Maria Grillo, un lavoro ineccepibile. “Cresciuto ascoltando Tenco, Jeff Buckley e Fabrizio De Andrè”, come riportato nelle sue note biografiche, il musicista salernitano dimostra indubbiamente di averne introiettato i mood, riversandoli abilmente nelle dieci tracce che compongono l’album – compresa una reinterpretazione di Va pensiero. Ma, si sa, non di sola tecnica vive un songwriter. Esiste infatti un plusvalore legato all’ardire sonoro ed autoriale che Grillo sembra non aver lambito. “Senso” si compone di virtuose linee vocali, di arrangiamenti per ensamble da camera, ma non di ricercatezza. Si assapora l’imprinting verdiano, la predilezione per la scuola genovese, ma non la definizione di un linguaggio proprio abbastanza robusto.
Superare i paradigmi in favore di una personale proposta è il più rischioso degli obiettivi che un’artista possa prefissarsi. Ma anche il più fruttuoso.