Si intitola didascalicamente “EP1” questo primo lavoro di inediti firmato dai Gran Zebrù, band milanese che si attesta dentro linee sospese nei tanto citati “non luoghi” come sono le periferie metropolitane, o dentro quel gusto per i video lo-fi che vogliono sembrare anche ricordi a 8mm (per edulcorarne l’estetica). La psichedelica morbida e acida si colora di liriche italiane e in tutto questo fa un poco il verso (ben riuscito) alle planate famose di lunghi corredi strumentali, che si macchiano di sud elettrico dentro la chiusa “Solo adesso”, accennano alle robotiche sensazioni new-wave dentro “Mr. Turn”, o addirittura si arrampicano con coerenza su scale arabe in “Piccolo Lord”. Il tetto del loro mondo viene raggiunto dalle risoluzioni pop di “No hay bamba” che nell’interrompere certe morbidezze melodiche sta il vero cuore vincente della scrittura. Un primo lavoro che anticipa un gran bel percorso…
“Sfortunatamente no”. Questo rispondete a chi vi chiede se l’indie è morto. Perché? Partiamo da qui.
Volevamo lanciare una provocazione ma c’è del vero: il termine “indie” è stato privato del suo significato originale. È vero che quest’epoca ha segnato anche l’esplosione di produzioni indipendenti e home-made, ma in termini di suoni, attitudine e personaggi coinvolti stiamo assistendo a un impoverimento che di sicuro non ci scalda il cuore.
Di certo nel tempo liquido del tutto e subito la forma canzone dei Gran Zebrù violenta le abitudini. Si torna ad un passato lisergico di suoni acidi e di strutture “scomode”. Da dove nasce questa scelta di direzione?
Questa direzione obliqua è figlia del metodo compositivo che utilizziamo: l’improvvisazione da rielaborare in studio. Veniamo tutti e quattro da progetti nei quali la scrittura “a tavolino” occupava un grande spazio. Questo comportava una certa pesantezza: numerosi provini, tanta pressione e poca libertà di espressione. Volevamo ritrovare noi stessi come musicisti, dare vita a un progetto più viscerale. Ci conosciamo personalmente da tanto tempo e per noi è stato naturale ritrovarci e comunicare suonando insieme.
I Pink Floyd nelle rifiniture delicate di arpeggi sospesi sono uno dei grandi riferimenti che mi vengono alla mente. Altre radici e coordinate?
I Pink Floyd assolutamente sì. Che a loro volta sono stati un punto di riferimento per il tutto il mondo post-rock al quale ci ispiriamo volentieri perché appartiene al nostro percorso musicale. Non partiamo mai con l’intenzione di scrivere un pezzo con un riferimento preciso, sono gli ascolti di una vita che tornano a galla e contribuiscono a plasmare il nostro sound. Dovendo citare una band in particolare, sicuramente i Motorpsycho mettono d’accordo tutti e quattro.
Anche nel video di “No hay Bamba” si torna indietro nel tempo con questo modo di pensare alla produzione, quasi fosse un 8mm. Quanto conta per voi il passato in tutto questo suono?
Il taglio è assolutamente quello e ci fa piacere che si colga nel girato. Da parte nostra, questa atmosfera nostalgica ci aiuta a rievocare quel concetto di “indie” di cui parlavamo prima, quell’attitudine a rendere speciali delle piccole intuizioni. Anche in questo caso non c’è nulla di costruito. Abbiamo semplicemente ripreso e montato una sorta di gita vicino all’aeroporto di Linate, come se fosse uno di quei filmini che si giravano durante le vacanze al mare. L’atmosfera sognante del pezzo ci ha suggerito questo tipo di ambientazione e post-produzione.
Un primo EP in un momento apocalittico della musica. Un primo lavoro molto figlio delle periferie. Altro grande simbolo di un’Italia underground che forse non c’è più. Conta molto per voi questa dimensione particolare della città? La periferia, la notte…
Le periferie appartengono al nostro vissuto e ci hanno sicuramente influenzato. Allo stesso tempo abbiamo sempre frequentato Milano, specialmente durante l’epoca d’oro della musica indipendente, quando bastava portare un demo in locale per ottenere una data, quando il pubblico veniva ai concerti per ascoltare una band e non per condividere un post sui social. Non è solo una questione di nostalgia, chi c’era può ricordarsi quell’atmosfera e quel patrimonio artistico/culturale che è progressivamente scomparso dalla città. Si tratta di un problema che non riguarda soltanto Milano ma non possiamo ignorare che le ultime giunte hanno sorvolato con estrema disinvoltura sugli aspetti culturali. Ci auguriamo che quella spinta “dal basso”, che era il vero motore di quella scena, possa rifiorire nonostante le enormi difficoltà.