– di Michela Moramarco –
Gran Riserva è il nuovo album di Diego Rivera, lo pseudonimo con cui Carmine Tundo (La Municipàl) ha deciso di tramettere questo suo nuovo progetto. L’album era stato anticipato dai singoli Santa Maria al Bagno e dal più cupo Malvasia nera. Gran Riserva è un titolo che irrimediabilmente lascia pensare al vino. Si tratta di un album che forse va lasciato decantare per essere assaporato propriamente. Dunque, “decantare” vuol dire “cantare recitando” ma anche “rendere trasparente”. E così, Diego Rivera racconta ricordi e pensieri in modo da renderli trasparenti e quindi condivisibili. Narrazione sapiente, eclettismo e trame avvincenti: queste le caratteristiche del vortice di storie che prendono forma in undici potenti tracce. Il filo rosso? Sicuramente c’è, ma adesso cerchiamo di scioglierne i nodi.
L’album si apre con una traccia strumentale, Nadir. Le percussioni sono già incalzanti, la chitarra sembra voler dispiegare quello che sta per succedere nei suoni, evocando atmosfere morriconiane, in stile western. Non a caso, se la prima traccia era come un trailer, Nei peggiori bar della provincia è la storia che inizia a prendere forma, una storia di scene tipiche di provincia. Le sonorità sono latineggianti.
Con Chiaro di luna torniamo in una dimensione strumentale, con una chitarra classica arpeggiata e cori conditi col riverbero. E si giunge a Malvasia nera, una traccia che già conoscevamo, ma che adesso assume una veste nuova, più completa, come un pezzo che trova il suo posto in una costruzione sonora ben articolata. Il brano ripropone i cori riverberati ma qui, seppur con toni malinconici, si pone come una ballata dal profumo deciso di un buon vino.
La traccia successiva forse è quella più dissacratoria; Santa Maria al Bagno racconta il Salento con sonorità latine e anche un po’ cantautorali. Esperimento non facile.
Segue Maracuja che, collocandosi proprio a metà disco, è come un ponte verso una dimensione più “flamenco” in cui stiamo per trovarci con Il negozio di scarpe, un brano che racconta un amore complicato e del sogno di andare altrove.
Con Calendule si ritorna su toni più cupi, con chitarre quasi psichedeliche e percussioni a ritmo funebre. Anche qui, si potrebbe dire che il brano è un ponte verso la traccia più drammatica dell’album, A dismisura, che a primo ascolto sembra essere triste, al secondo disperato, al terzo lacrimoso. Racconta l’incommensurabilità di un sentimento.
La storia sta per volgere al termine, Aspettando Hydra sembra essere un epilogo. Eppure, è un’anticipazione di un nuovo lavoro di Carmine Tundo.
Il cerchio si chiude, le sonorità si ricollegano. Se Nadir ha introdotto questo viaggio sonoro, c’è la sua controparte a chiuderlo: Sarà come morir potremmo vederla come la versione romanzata del primo brano. Solo che adesso abbiamo bisogno di spiegazioni, di uno scioglimento della narrazione e del pathos. E quindi: “Tu sarai per sempre il mio Nadir, qui nel buio dell’anima”.
La forza di questo album risiede nel fatto che i brani possono godere di un’esistenza propria, ma se collocati nella cornice di un album, esprimono il loro massimo potenziale.
Ebbene, se Gran Riserva è un titolo che irrimediabilmente lascia pensare al vino, potrebbe essere per questo motivo: più passa il tempo e più diventa gradevole.