Gli Shakers sono un simpatico gruppo emergente di Varese che, se volessimo identificarli in base al loro sound, dovremmo forse utilizzare tag come “beat”, “surf”, “garage-rock”, “sixties”. Sta di fatto che la loro ilarità va di pari passo con la “rockability” dei brani: tutti rigorosamente in lingua italiana e pregni di riferimenti ai grandi maestri del passato (vedi Buscaglione, Elvis, The Kinks, Ray Charles etc etc). Li abbiamo intervistati per capire veramente se il rock’n’roll al giorno d’oggi ha ancora ragion d’esistere oppure no.
“Gli Shakers” sono un progetto che nasce come, quando e perché?
L’idea è nata quasi per gioco da me e da Raffaello (il batterista): ne abbiamo discusso nel corso di diverse serate, tra una sambuca e l’altra. Il punto di svolta è stato quando abbiamo incontrato Maury Lee (tastierista): lui è il nostro professore del rock’n’roll e ci ha aiutato a delineare meglio il repertorio. Magicamente poi gli altri sono arrivati e lo show è stato montato in brevissimo tempo.
Voi suonate chiaramente rock’n’roll, ma messi da parte i grandi a cui vi ispirate ed omaggiate con i vostri brani, quali altri generi musicali vi piacciono?
Beh ognuno ha i propri gusti. Tuttavia se vuoi entrare ne Gli Shakers devi farti il tuo periodo di noviziato, in cui ti si incollano degli auricolari che passano tutto il tempo solo Chuck Berry e Rolling Stones! A parte gli scherzi, personalmente sono abbastanza schizofrenico e incostante in ciò che ascolto: nei primi anni 90 mi vedevi in giro con il chiodo e i capelli lunghi ad ascoltare Pantera e Sepultura, poi nel corso del tempo mi sono ammorbidito e dal grunge di Seattle, ho bighellonato tra i Massive Attack, i Prodigy, i Sangue Misto, i Casino Royale, Bob Marley, gli Specials e chi più ne ha più ne metta. Sono sempre comunque molto attento a ciò che nasce nel sottobosco della musica italiana.
Può a vostro avviso il rock’n’roll avere ancora la sua ragione d’essere ed evolvere grazie ad originali sperimentazioni o è stato già tutto detto e codificato?
Il rock’n’roll è vivo e vegeto. Basta non copiare pedissequamente il passato. Chi lo suonava 50 anni fa attingeva ad esempio dal blues, ma poi guardava avanti, non dava niente per scontato e innovava inserendo un sitar in un bridge o un Moog in un ritornello, quando ancora non si sapeva quasi cos’era un sintetizzatore. L’originalità oggi è data, dalla capacità di comunicare ed essere “contemporanei” (il che, dirai, detto da noi è una contraddizione, ma questo non vuol dire non poter prendere ispirazione dalla “storia”). Bisogna saper parlare ad un pubblico, ad una generazione (meglio se la tua) con i suoni, le emozioni e le parole giuste. Forse con il termine rock’n’roll definirei uno stile, più che un genere musicale.
Perché voi cantate solo ed esclusivamente in Italiano?
È una mia fissa, ho sempre praticamente scritto testi in italiano. È per l’importanza che -dicevo prima- do alla capacità di comunicare ed essere diretti… ed essendo in Italia, sai com’è, cantare in Italiano non è una brutta idea…e piace anche quando vai a fare qualche data all’estero.
“Il futuro è già passato” è appunto il titolo del vostro primo mini album. Perché questo titolo? C’è forse un riferimento alla situazione di “crisi” attuale?
Sì, è un riferimento alla situazione odierna, in cui le certezze sono sempre più fragili e il futuro quasi non esiste, è come se appunto fosse “già passato” o condensato in un eterno presente. È un titolo ironico, che rimanda ovviamente anche al fatto che nella nostra musica “giochiamo” con gli immaginari appartenenti ad epoche passate, in particolare con l’effervescenza degli anni 60.
Il video “La scommessa” sembra una simpatica rivisitazione in chiave Felliniana di drag queen e location abbandonate: da dove è partita l’idea di realizzare un video cosi?
Volevamo che avesse uno spirito provocatorio; che fosse allo stesso tempo esteticamente intrigante e “fastidioso”. Lo spunto delle drag è nato dal fatto che conoscevo già una loro e avevo assistito in passato a qualche loro divertente show. Le abbiamo chiamate e tutto poi è venuto quasi da sé. Ci siamo ispirati al cinema dissacrante ed estremo di John Waters e alla sua musa drag Divine. Avete mai visto Pink Flamingos? Beh, se siete fragili di stomaco, magari fatene anche a meno.
Suonare sempre rock’n’roll e avere dunque tutta quell’energia “positiva” che richiede, non risulta a volte eccessivamente stancante?
A volte può capitare che arriviamo già stanchi al’inizio di un concerto. Ma poi saliamo sul palco e magicamente preleviamo l’energia da una riserva che non sapevamo di avere. È il potere del R&R! Ma anche e soprattutto la capacità di stabilire una connessione col pubblico, è uno scambio di energia a volte sorprendente.
Secondo voi la gente apprezza ancora il rock’n’roll? Voglio dire c’è ancora spazio per una musica cosi allegra e spensierata , quando invece la tendenza generale sembra andare sempre di più verso sound più malinconici ed impegnati?
Il rock’n’roll è sempre stato uno strumento per darti una mano ad alzarti la mattina, una colonna sonora dell’emancipazione, delle rivoluzioni sociali. Sotto la superficie del “ok stasera ci sfondiamo tutti di alcol e ci divertiamo un po’”, c’è ben altro. Il rock’n’roll ti dice: ok stasera divertiti, ma magari quell’energia puoi usarla anche domani e dopo, per essere più coraggioso, sfrontato, ambizioso, creativo nella vita quotidiana.
Detto questo, mai come oggi la gente desidera tonnellate di positività. All’inizio eravamo sopresi anche noi da quanto la gente partecipasse ai nostri concerti e ne avesse bisogno; ma poi se ci pensi non è così tanto difficile da capire, in tempi di recessione economica, culturale e sociale. Con il rock’n’roll la gente puó condividere qualcosa e riconoscersi in qualcosa, autenticamente; non in privato davanti a uno schermo; riscopre la propria componente più atavica, vitale… animalesca!
Quali sono i vostri prossimi progetti?
“Il futuro è già passato” è un mini EP, ora ci stiamo dedicando all’album che vogliamo realizzare per la primavera prossima, per il quale siamo in cerca di una produzione discografica.
E un augurio che vi fate per il futuro?
La musica ci ha dato il privilegio di aspirare sempre a un sogno, probabilmente inarrivabile, ma comunque di correre per qualcosa. Ed è già una fortuna. Vorrei che fosse così per tutti e cinque anche tra quarant’anni: svegliarsi la mattina, uscire e avere ancora voglia di arrivare da qualche parte.
Giuliano Leone
1 commento