Sono stati (e ancora lo sono) giorni di sospensione, di pausa e di incertezza. Giorni in cui il fluire del tempo aveva quel bit lento, decisamente metropolitano, distopico anche dentro l’intimità di un silenzio casalingo. Sono 3 inquilini, 3 anime dello stesso palazzo di una Ostia “antica” a due passi dal mare… in un tempo lento in cui anche due passi erano proibiti. Come resistenza e come rivoluzione personale, gli Oremèta producono suoni e melodie per questo primo lavoro dal titolo “Saudade”: senza oltrepassare il confine e senza prendere una posizione, questo disco resta sospeso dentro una gustosissima canzone d’autore di matrice digitale, indie come si confà al buon cliché delle mode attuali. Colpisce il silenzio che arriva anche quando il disco sa farsi appena più dinamico. Colpisce questa morbidezza di mondo che si colora dentro una forma canzone decisamente italiana.
Partiamo da questo nome. Mi incuriosisce parecchio… ore come tempo che deve passare… meta come forse un traguardo che si deve raggiungere… ce lo spiegate?
Cominciamo dicendo che la nascita del nome ha vissuto un travaglio lungo mesi. Vi lasciamo immaginare i deliri nel proporre idee… Un giorno, presente ad uno di questi deliri, c’era un nostro amico nigeriano. Con grande naturalezza, solleva lo sguardo ed esordisce zittendo la nostra confusione di idee bizzarre con: “OREMÈTA”. Ci siamo guardati, già il suono ci piaceva, ma era necessario conoscerne il significato. In diletto Yoruba (dialetto Nigeriano) vuol dire TRE AMICI, per essere precisi si scrive “META ORE” ma si legge Oremeta. Non ci servì nient’altro per convincerci, era lui, lo avevamo trovato. Noi eravamo gli OREMÈTA.
Bellissimo questo concept che vi porta a dar voce a questo disco. Davvero 3 inquilini diversi di uno stesso condominio o in qualche modo vi siete organizzati per ritrovarvi in quel posto?
È tutto vero! Abitiamo nello stesso condominio, nella stessa scala, ci dividono cinque piani. Dario abita al piano terra con la famiglia, Chiara e Giulio al sesto piano. Questa grande coincidenza ci ha portati alla salvezza. Nei mesi di lockdown, saperci tutti e tre insieme, era la nostra unica sicurezza in un periodo di grandi incertezze. Indispensabili gli uni agli altri, abbiamo scelto di trascorrere l’infinito tempo che avevamo a disposizione, per dare voce alle nostre emozioni. Volevamo “urlare” lontano, quale mezzo migliore della musica per farlo?!
La quarantena che descrivete in una dolcezza notturna, intima, dolcissima… ha portato anche a grandi cose dunque. Come vive questa contraddizione? Cosa ne pensate?
Crediamo che questa contraddizione sia diventata un po’ il nostro punto di forza. È incredibile come un momento come quello della quarantena, del lockdown, in cui siamo stati privati di molto, ci abbia poi portato i consensi necessari per poter “fare sul serio”. Forse è proprio vero che le emozioni, quelle più forti e prorompenti, se vissute con rispetto, alla fine portano qualcosa di buono, in questo caso, qualcosa di molto buono!
“Saudade” è dunque un disco che ha avuto senso di esistere in questa dimensione e non in altre? Cioè, ora che tutto finirà, gli Oremèta esisteranno ancora o si perderà inevitabilmente il senso?
Oggi, ieri ma anche domani, ci capiterà di voler celebrare un ricordo, una “Saudade”. Quello sarà il momento buono per riascoltare questo disco. Sono sentimenti immortali, fanno parte del genere umano, non hanno una connotazione storica. Gli Oremèta esisteranno, certo. Anzi, non vediamo l’ora di toccare nuove corde, un po’ in tutti i sensi!
Di queste canzoni forse “Quarantena” è la freccia che più colpisce al cuore del tutto. Bellissima la telefonata con la nonna… di ogni brano poi ci sono rimandi alla vita quotidiana. È servito ad esorcizzare il momento oppure avete celebrato il dolore di un isolamento?
Pensiamo che il dolore, quando arriva, va elaborato, va ascoltato. Quando siamo felici cerchiamo forse di rimuovere, di dimenticare, quindi esorcizzare questo nostro stato d’animo? No, lo viviamo fino in fondo. Lo stesso vale per il dolore. È un po’ come se avessimo preso questo malessere, l’avessimo messo su un lettino da interventi e lo avessimo vivisezionato. Lo abbiamo studiato in tutte le sue parti e ne siamo usciti forse, un po’ più consapevoli.
Com’era Ostia in quei giorni?
In quei giorni Ostia era deserta, un po’ come tutta l’Italia. Ci incontravamo sui balconi alle 18, cantavamo e suonavamo in terrazza, ci siamo fatti compagnia tra dirimpettai.
Ostia in quei giorni è stata soprattutto una madre meravigliosa che ci ha consolati e rincuorati. Ci ha cullati col suono del mare che spesso riusciva a raggiungere le nostre case. Sublime e paziente ha atteso e respirato insieme a noi.