di Assunta Urbano
Gli Elephant Brain sono una band originaria di Perugia, nata nel 2015 dalle menti di Vincenzo Garofalo, Andrea Mancini, Emilio Balducci, Roberto Duca, Giacomo Ricci. I ragazzacci umbri abbracciano il mondo dell’alternative italiano e dividono le loro giornate tra la sala prove e lo studio di registrazione.
Tanti sono i traguardi che segnano il percorso dei cinque. La finale di Arezzo Wave Umbria nel 2016, l’apertura ai concerti dei Ministri, Giorgio Canali, The Zen Circus. Senza dimenticare la vittoria del Premio SIAE nell’edizione 2019 del Rock Contest di Controradio, ottenuta grazie alla canzone Scappare Sempre.
Nel frattempo, la passione, la dedizione e la caparbia di entrare a far parte del panorama discografico attuale italiano li ha portati a raggiungere un grande obiettivo: il disco d’esordio. Il 17 gennaio 2020 viene pubblicato Niente di Speciale (ascoltalo su Spotify), in cui sono contenuti nove pezzi che raccontano la storia dei componenti del gruppo. Questo lavoro è stato realizzato, inoltre, con la collaborazione di Jacopo Gigliotti, bassista dei Fast Animals and Slow Kids.
Per prepararci al meglio ai prossimi live che li rivedranno salire sui palchi in giro per l’Italia, abbiamo fatto un ripasso dei brani del disco insieme ai componenti della band. Allo stesso modo, non potevamo non parlare anche dei progetti futuri proprio con gli Elephant Brain, che si sono prestati alle nostre domande rispondendo all’unisono e ricordando al pubblico di essere tutti insieme un unico cuore pulsante.
Il 2019 si era concluso in modo decisamente positivo per gli Elephant Brain con la vittoria del Premio SIAE in occasione della trentunesima edizione del Rock Contest di Controradio. Poi, purtroppo, ci siamo ritrovati tutti bloccati a causa dell’emergenza sanitaria. Come avete vissuto quei mesi? Cosa ha comportato quel periodo per la band?
Tutto ci saremmo aspettati, tranne una pandemia mondiale, questo è certo. In generale è stato un periodo per tutti difficilissimo e purtroppo l’unica cosa che al momento sappiamo è che non se ne uscirà a breve. Non è nulla in confronto al dramma che hanno vissuto tantissime persone, ma, nel nostro piccolo, comunque anche vedersi annullare tutte le date che con molta fatica eravamo riusciti a trovare e l’impossibilità di suonare finalmente il disco fuori dalle quattro mura della nostra sala prove, sono state cose che ci hanno davvero buttato giù a livello emotivo. Dopo tre anni di lavoro è stato un po’ come se ci avessero bloccato a metà del trampolino.
Questo ha comportato per forza di cose uno stop in cui sarebbe stato facile farsi prendere dal panico e mandare tutto all’aria, o all’inverso, come molti purtroppo stanno facendo, tornare alla normalità come se nulla fosse successo. Abbiamo cercato di approfittarne per fare un punto della situazione sia individuale che di gruppo, suonando, leggendo, ascoltando nuova musica per il secondo disco, cercando di recuperare quella fiducia fondamentale per guardare avanti. Non solo per noi come band, ma anche per la quotidianità personale di ognuno, che ne risulta ovviamente modificata. Né meglio, né peggio, solo diversa. Vincenzo, in questo è stato è l’unico che, potendo suonare seppur in versione acustica i brani del disco, ha tenuto un po’ il filo di tutto, voce delle nostre frustrazioni fino in fondo (e che culo!) [ridono, ndr].
Tra l’altro, anche il 2020 ha avuto un grande inizio nel vostro caso. Il 17 gennaio avete pubblicato il disco Niente di Speciale, che ha segnato l’entrata ufficiale degli Elephant Brain nel mondo discografico. Parliamo di come è nato questo lavoro e del traguardo che la band ha raggiunto realizzando il suo “primogenito”.
È stato un percorso davvero lungo, fatto di una sala prove durissima e tanta costanza.
Abbiamo questa tendenza di ascoltare, riascoltare, rimaneggiare una canzone anche per mesi, se necessario. Follia pura a pensarci, un processo che mette a dura prova nervi e amicizia. Delle volte fa perdere anche un po’ la voglia di riascoltare lo stesso brano, cioè si arriva all’assurdo di odiare un pezzo e aver voglia di buttarlo per una singola parola o frase che non a tutti torna. Allo stesso tempo però è un banco di prova per capire se tutto sta filando liscio e funziona. Siamo arrivati all’assurdo con il decimo (o dodicesimo) provino di Scappare sempre, ma per fortuna Jacopo alla fine ci ha detto “registriamola e basta!”.
Il disco prende il nome di una canzone, la traccia numero nove, che in un certo senso sembra ripercorrere tutte le precedenti. Qui, al centro viene posta la consapevolezza dell’essere umano di essere solo un piccolo granello di sabbia rispetto all’infinito che lo circonda. Che ruolo ha Niente di Speciale rispetto agli altri brani?
Niente di speciale è come un atterraggio, è forse il primo, vero, momento di consapevolezza che abbiamo avuto in questo disco. È il testo più complesso, un po’ come se stessimo ripercorrendo le tracce una per una a ritroso. Il testo è stato uno degli ultimi ad essere chiusi, veniva dalle ceneri di un altro brano che doveva essere una specie di intro. Un bel casino a ripensarci. Cosa rimane di tutto questo correre e di tutto questo affannarsi per provare a condividere un pensiero se poi alla fine quello che siamo è soltanto niente più che un granello di polvere? Possiamo solo riconoscerci e mandare a puttane tutto questo sistema in cui se non sei “conosciuto” in realtà non sei nessuno. Perché, sorpresina baby [cit.], anche una cometa per quanto luminosa, altro non è che un granello di polvere che brucia nel buio più totale.
Il titolo del pezzo Soffocare, invece, è ripreso dal celebre libro dello scrittore statunitense Chuck Palahniuk. Che rapporto avete con la letteratura? Ed in che modo, secondo il vostro punto di vista, si collega alla musica?
Purtroppo – o per fortuna – nella musica, così come nella scrittura non ci sono scorciatoie: se vuoi fare musica, devi ascoltarne una quantità industriale, sempre, e se vuoi scrivere bene, devi leggere molto. Per fare un disco servono (anche se in misura diversa) entrambe le cose. Da questo punto di vista cerchiamo di condividere molto anche le letture e gli scrittori che in un preciso momento possono darci degli spunti interessanti per lavorare sui testi. Palahniuk era una fissa del Bebo (Andrea) e un’altra fissa che è rientrata in un altro pezzo è stata Restiamo così quando ve ne andate, di Cristò, ma potremmo citare tantissimi altri autori che hanno inciso sul lavoro di scrittura del disco anche se magari non in modo esplicito, Penna (orgoglio perugino), Carrére, Knausgaard, Aldo Nove, e così via (potremmo andare avanti per ore). In quarantena, invece, ad esempio Giacomo e Rob ci hanno fatto impazzire con Saramago (e con gli scrittori portoghesi in genere, Lobo Antunes su tutti), vediamo cosa ne verrà fuori.
Scappare sempre è un brano che parla dei cambiamenti della vita, ma, a differenza del titolo, la canzone parla del coraggio di restare e quasi “resistere al cambiamento”. Portando questo concetto al panorama musicale italiano odierno, quale pensate sia la condizione attuale delle band emergenti? Si può fare musica oggi in Italia oppure è necessario, per l’appunto, “scappare” all’estero?
Anche se la proposta è sempre affascinante e il confronto con la musica estera è inevitabile, non pensiamo che ci sia bisogno, almeno fisicamente, di “scappare” dall’Italia per poter produrre qualcosa che possa chiamarsi musica. Resta il fatto che siamo cresciuti con quelle scene musicali lì, Seattle, New York e compagnia bella. Anche attualmente, tutte quelle band cosiddette del “Midwest” (American Football, Tiny Moving Parts, Modern Baseball) per noi sono un faro, ma in generale come dicevamo prima: chi vuole fare musica deve ascoltarne più possibile, ci può essere una scena musicale che magari abbiamo nel cuore ma poi oggi come oggi ci sono band incredibili in ogni angolo del globo (Gang of Youths o Nick Cave in Australia, solo per fare degli esempi) che vanno necessariamente conosciute e ascoltate. Oltre il confronto, e oltre il fatto che comunque in Italia, oggi come oggi, c’è un bellissimo fermento, ci sono tante band che alzano gli amplificatori a stecca e fanno robe bellissime. Il punto è se ci si riesce a campare in Italia facendo musica. Ma forse è un tema davvero troppo grande e pensiamo che nessuno vorrebbe ascoltarlo adesso. Noi comunque per poter continuare a suonare la musica che ci piace lavoriamo tutti in ambiti diversi (qualcuno ha anche più di un lavoro), non siamo “scappati” diciamo, anche se in effetti è un bello sbattimento. Nel disco, infatti, ci siamo chiesti spesso per quanto potremo reggere una situazione del genere. Gli Elephant Brain tengono ancora botta, state tranquilli.
Niente di Speciale vi ha visto collaborare con Jacopo Gigliotti, bassista dei Fast Animals and Slow Kids, che si è occupato della registrazione e del missaggio del disco. Cosa ha significato lavorare insieme? Con chi vi piacerebbe lavorare per un prossimo album?
Pensando in grande sarebbe bello collaborare con qualche produttore di quelli enormi che hanno segnato un’epoca, tipo uno Steve Albini. O si sogna in grande o forse è meglio non sognare affatto, no? Tornando sul pianeta Terra sappiamo che l’unica persona che potrebbe sopportarci con una pazienza così incredibile è solo il mitico Jac. A parte gli scherzi, è stato un fratello fin dal primo giorno in cui è venuto nella nostra sala prove e ha ascoltato tutti i nostri provini. Da lì abbiamo instaurato un bellissimo rapporto. È un professionista, e grazie alla sua esperienza è riuscito a convertire tutti i suoni distorti, i ronzii e fischi vari in un disco proprio così come ce lo eravamo sempre immaginati. Per il momento a noi piace vivere questa dimensione home made, registrare qui nella nostra sala prove con i nostri tempi e con suoni a volte non perfetti, che però rispecchiano la vera natura dei pezzi, e in realtà anche la nostra.
In un modo strano e diverso a quello a cui tutti siamo abituati di solito, siamo tornati ad assistere ai live. Finalmente, è arrivato anche per voi il momento di ritornare sul palco. La prima tappa sarà l’evento a Ferrara Suonacele in acustico, poi ci sarà il 12 a Padova al Rise Acustic Festival, ma il 13 settembre sarete a Le Mura, uno dei locali principali a Roma per la musica dal vivo. Quali aspettative avete per questa tappa specifica e per questo ritorno on stage?
A Le Mura è veramente un ritorno a tutti gli effetti. Fu la prima data dell’EP e quando finimmo di suonare il fonico ci disse “siete stata l’ultima band a suonare con questo impianto, da domani arriva quello nuovo” (non sappiamo ancora se prenderla bene o male), ma quella data la porteremo sempre nel cuore. L’EP aveva girato abbastanza bene con gli ascolti, ma mai ci saremmo aspettati di trovare gente sotto al palco che sapeva a memoria i nostri testi. Essendo l’unica data per adesso al centro Italia stiamo davvero chiamando tutti gli amici in raccolta. Noi siamo davvero carichi e il tornarci sarà una bomba, ne siamo certi. In generale abbiamo proprio voglia di tornare a suonare anche se non sappiamo bene cosa aspettarci, sarà davvero come uscire per la prima volta. Ringraziamo Jacopo (non Gigliotti questa volta) che si è sbattuto in questo momento difficile per pianificare queste date al meglio, e ovviamente le organizzazioni e i locali che ci ospiteranno. Non vediamo davvero l’ora di ripartire.
Parafrasando il vostro stesso brano, ci lasciamo con un’ultima domanda. Quali sono i progetti futuri degli Elephant Brain “quando tutto questo finirà”? E, soprattutto, cosa pensate accadrà al mondo della musica “quando tutto questo finirà” davvero?
Di certo al momento c’è solo il futuro prossimo: nei prossimi giorni saremo un po’ in giro (per la precisione, lo ripetiamo, 11 settembre a Ferrara, il 12 a Padova e il 13 a Roma) e non vediamo l’ora di tornare a vivere su un palco Niente di speciale. Per il resto, non sappiamo di preciso cosa succederà. Siamo in un periodo di incertezza generalizzata, cercheremo di cogliere i tanti stimoli che stanno arrivando per fare nuova musica e sarà probabilmente su questa che ci concentreremo per guardare avanti. Speriamo solo che tutta questa situazione lascerà un profondo bisogno delle persone di ascoltare, e che venga accompagnata dalle band con ancora più voglia di suonare.
Sempre carichi!