_ di Riccardo Magni.
Giuseppe Avellis è un giovane cantautore di 22 anni che vive e lavora a Roma, ma le cui sonorità si ispirano al pop oltreoceano.
Originario di Bitonto (BA), ha completato il suo Bachelor of Arts in Popular Music alla Chichester University (UK) presso Sonus Factory a Roma e partecipato ad un campo per songwriters presso l’ICMP di Londra. E quando ha tempo, canta in strada a Via del Corso, a Roma.
Attualmente, sta portando avanti da Giugno 2018 il suo prima progetto cantautoriale in lingua inglese: un album chiamato “/ 12” perché una sola traccia viene rilasciata ogni mese, per la durata di un anno.
In occasione della sua prossima partecipazione ad It’s Up 2U, abbiamo parlato del suo modo di intendere la musica e delle idee con cui porta avanti il suo progetto.
Ti sei guadagnato la partecipazione attraverso le votazioni di Indieffusione e prenderai così parte ad un altro contest. Ma la musica resta una festa anche nella competizione?
Sono molto grato per questa opportunità a Indieffusione e gratissimo a tutte le persone che mi hanno votato, più di 900, per farmi partecipare alla serata It’s Up 2 U al Largo Venue. Non me l’aspettavo. 5 anni fa mi sono trasferito a Roma da Bitonto, un comune in provincia di Bari, e sono quasi sicuro che la maggior parte dei voti sia venuta proprio da lì.
La competizione sana è un modo per crescere, per volersi migliorare. Però come artista credo più nel lasciarsi crescere, nel cercarsi, nel valorizzarsi e nell’impegnare il tempo nella creatività, in saletta o in studio, con degli obbiettivi serrati finché, eccolo lì, il momento arriva, pianificato.
Da sempre la musica, così come l’arte in generale, è condivisione, apertura, inclusione. Giudicare e confrontare degli artisti è, secondo me, un ruolo difficile, se non impossibile. Molto meglio quando in un contest è la folla a decidere. Ma, a prescindere il giudizio è sempre soggettivo e, tenuto questo chiaro, può essere una buona palestra per l’artista. L’importante è non fermarsi, mai.
L’Italia è da sempre patria di cantautori e di una musica pop definita non a caso “leggera”. Le tue ispirazioni però sono chiaramente di respiro internazionale e non solo per i testi in inglese, ma anche da questo punto di vista molto si è mosso e si sta muovendo negli ultimi anni. C’è qualcosa di prettamente italiano, magari nei tuoi ascolti attuali o passati, che rientra nelle tue influenze? Ed a cosa invece, senti di essere più vicino, in ambito nazionale o internazionale?
Da quando ero piccolo, ho sempre ascoltato brani in inglese. Mi ricordo nei viaggi in macchina che i miei genitori mettevano sempre due, tre cassette, sempre le stesse, con le hit di fama mondiale. E in più, ho frequentato una scuola d’inglese da quando avevo 5 anni, quindi poi, quando ho cominciato a cantare, ho sognato ancora più in grande.
Guardavo artisti americani o inglesi della mia età e volevo essere come loro, in tour, sommerso da migliaia di fan.
Questo non vuol dire che non apprezzi la musica italiana. Anzi. Ci sono dei brani di Elisa a cui sono profondamente legato, così come anche i Thegiornalisti hanno delle sonorità che si avvicinano al mondo a cui mi ispiro, nonostante io non li ascolti. Ho provato a scrivere dei brani in italiano e dicono che assomigliano a quelli di Calcutta. Chissà magari un giorno lontano, sarei felice di ne farne ascoltare un paio.
Però le effettive influenze nella mia musica vanno cercate in artisti contemporanei pop con approccio da producers, come Lauv e una band fighissima come gli Imagine Dragons o Lany. I Coldplay sono al primo posto. Delle storie semplici, dei riverberi infiniti sulla voce e tanta ricerca dei suoni, con la magia che solo chi ha qualcosa da dire può creare. Poi c’è Bon Iver, che è molto speciale nel suo modo di scrivere testi (è nel suo falsetto), dice tutto, e in alcuni brani non puoi dire con certezza di cosa stia parlando, ma ti fa sentire qualcosa di diverso sempre.
E in generale, così come tantissimi artisti della mia età, l’obbiettivo è anche quello di usare la propria voce per tentare, provare a rendere questo mondo un po’ meglio, almeno per chi ci ascolta.
La tua esperienza di studio sembra aver avuto un peso importante nel tuo modo di intendere la musica. Quanto ed in cosa è diverso il concetto di fruizione musicale tra la realtà italiana e quelle estere con cui sei venuto in contatto?
La fortuna di poter studiare quello che più mi piace, quindi la Popular Music, mi ha permesso di avere una visione ampia dalla composizione all’arrangiamento e songwriting, alla produzione in studio, al business. Ho studiato in una scuola in Italia con l’anglo-sassone. Studiare musica, secondo me ed in generale, è come lavorare nella fabbrica di Babbo Natale e imparare a preparare la magia per gli altri, sacrificandosene un po’ per se stessi. E’ un bellissimo lavoro. Ho imparato a gestire ed organizzare il mio tempo con un approccio imprenditoriale ed ho appreso quante figure professionali esistono nel mondo musicale.
A mio parere la diversità tra la realtà italiana e quella estera è determinata dalla minore attenzione verso i suoni e verso gli arrangiamenti. Allo stesso tempo, il panorama estero offre un numero spropositato di stili, generi e sottogeneri, qui, a parer mio, meno diversificati. E infine, le voci internazionali che si ascoltano sono molto educate ed atletiche, qui in Italia, invece, secondo la mia opinione, si cerca un suono meno levigato.
Hai scelto di pubblicare un brano al mese per 12 mesi, basando la composizione, le atmosfere, anche i colori delle grafiche, sul periodo dell’anno specifico. Cosa c’è alla base di questa scelta?
Alla base della scelta, di cominciare. Il desiderio di comunicare. Il desiderio di un ventiduenne di uscire e sperimentare, di smetterla di rimandare. Smetterla di cercare qualcosa che mi rappresenti al 100%, perché è una missione impossibile. Ho deciso quindi che un brano al mese fosse un buon compromesso per dirmi: “ok, questo è quello che hai scritto oggi”, domani pubblicalo e vedi cosa succede. Ed è stato tutto bellissimo già e non vedo l’ora che tutte le cose future arrivino. Il mio sogno è quello di aiutare qualcuno con la mia musica, come è accaduto con me da sempre.
Il progetto “/12” è un viaggio inaspettato persino per me, che ho scelto di studiare e poi approfondire questa strategia un po’ all’improvviso per costringermi alla creazione di una canzone con una cadenza costante, per finalmente finire e impacchettarne una tra le 20 che abbozzo al mese e spedirla su tutte le piattaforme digitali.
In questo modo, sono 12 singoli che saranno collezionati tutti insieme, con un feedback immediato da chi mi ascolta su ognuno di loro. Ormai è un appuntamento fisso, guai a saltarlo. Prima mi chiedevano “Come stai?”, adesso “quando uscirà la prossima canzone?”.
“/12” è l’alternarsi delle stagioni, evidente nelle copertine e nei loro colori, che da estivi diventano autunnali: il passare del tempo così come il clima ha una forte influenza su ogni canzone; ad esempio, protagonista del singolo di Giugno “Not Lost” è l’acqua, il mare, simbolo dell’estate. Ogni canzone ha un colore, per ora tutti a pastello, io ragiono un po’ così. E volete sapere la verità? Inizio a scrivere partendo da un solo accordo. Uno.
Quindi un approccio elementare, primario, sia sulle grafiche che sul metodo di songwriting.
L’album che vuoi farne alla fine di questo percorso di 12 mesi, sarà una raccolta fedele di questi 12 brani o pensi di rimettere mano a qualcosa?
Il bello di questo progetto è che verrà fuori un diario sincero di questo anno: un riassunto di 12 canzoni per me importanti. E la parte migliore è che posso scegliere accuratamente io ogni cosa. Chi, come, dove e quando, e perché. Non so dove mi porterà o se in futuro mi sarà chiesto di modificare qualcosa. Oggi sono molto molto soddisfatto e felice di ciò che ho costruito fino ad ora con i professionisti con cui ho lavorato. Ormai mi sento a casa nello studio dove lavoro ed ho un team piccolo ma vario a cui sottopongo il materiale che produco ogni volta.
Hai suonato per strada, ti sei da poco laureto in Popular Music e stai iniziando a calcare i palchi. Che genere di continuità vedi in questo percorso? E quali sono le sensazioni che lo accompagnano?
In questo breve ma intenso percorso compiuto, c’è un filo conduttore che è la voglia di condividere. Quando sono arrivato a Roma, una città piena di arte, ho subito avuto voglia di scendere le scale e andare in strada. Via del Corso, la via dello shopping romano, in pieno centro, è piena di artisti molto validi. Quindi, per il mio 19esimo compleanno, mi sono regalato una bella cassa di amplificazione senza alimentazione e un microfono, ed è cominciato un viaggio. Ogni volta è stato emozionante e differente, entrare in contatto con tantissime persone che si fermavano per parlarmi, condividere una storia o semplicemente sorridermi. Allo stesso tempo, mi sono dedicato tantissimo allo studio per il Bachelor of Arts in Popular Music presso Sonus Factory: dalla performance al business, dalla composizione al songwriting, dalla produzione in studio all’organizzazione di eventi e tanto altro. È stato il miglior investimento di tempo che avrei potuto fare. Come tesi di laurea ho scritto il progetto “/12” ed ho deciso di scrivere, produrre, e rilasciare nello stesso mese una canzone al mese per un anno. Ora mi sento pronto per salire sui palchi, piccoli e grandi e vedere che effetto hanno i miei brani dal vivo. Sentire come suonano con dei musicisti, e ridarne una forma nuova. Il filo conduttore è l’amore e la passione che ho per la musica, e l’esigenza di comunicare.