– di Riccardo De Stefano –
La canzone “Tuo padre, mia madre, Lucia” è d’altronde è una canzone molto personale – Lucia dovrebbe essere il nome di tua figlia se non sbaglio – ma è contemporaneamente una canzone molto universale, che parla di un amore adulto, molto lontano da quello raccontato dal pop. Come pensi che sia arrivata ad un pubblico che ha assorbito così tanto del pop? A me è sembrato un po’ cinematografico come brano, un po’ alla “Marriage Story”. La domanda allora è: com’è presentare un brano così nel contesto sanremese e che effetto pensi possa aver avuto sul pubblico, che un brano così non l’ha sentito negli ultimi anni?
Recentemente mi hanno fatto osservare che ho scritto canzoni più semplici, però per me l’unico senso della mia partecipazione a Sanremo era raccontare il progetto artistico “Giovanni Truppi”. Dal punto di vista anche utilitaristico non credo mi sarebbe convenuto fare qualcosa di diverso da questo. C’era questa canzone e quando mi hanno chiesto di proporre un brano per Sanremo ho proposto questo perché mi racconta molto bene e questa era la cosa importante da fare. Tu mi dici che ci voleva coraggio, ma secondo me ci voleva coraggio a fare qualcosa di diverso. Nei momenti di preoccupazione in questo percorso quello che mi teneva saldo e che mi faceva sentire rassicurato era che io stavo proponendo me stesso, quindi era ok, anche se si trattava di un’esposizione maggiore. È bello che qualcuno di nuovo potrà incontrare la mia musica.
Rispetto a come la canzone possa venire percepita o meno non saprei. Dopo anni di lavoro a questo aspetto ci penso il giusto, non molto. Anche perché conservo una sana ingenuità a riguardo. Io credo che i miei brani siano molto più semplici di quello che risultano e per me questa canzone doveva passare come un’altra canzone sanremese: dico “amore” un sacco di volte, è una canzone emozionante.
Sono molto contento della tua partecipazione e sono stato sollevato nel vedere un brano sincero e spontaneo. La sincerità secondo me è stato quello che ha caratterizzato la tua performance anche nella serata delle cover, con Vinicio Capossela, dove hai portato un brano impegnativo. Hai avuto timore ad affrontare un mostro sacro come De André a Sanremo o il messaggio era più forte della paura?
Io e la mia squadra di lavoro ci siamo posti il problema sul portare De André a Sanremo ma allo stesso tempo devo dire che c’era l’autorevolezza di Vinicio Capossela che mi faceva sentire più tranquillo, poi è arrivato Mauro Pagani e ho pensato che il problema non si sarebbe posto. Mi sembra infatti che nessuno abbia avuto da eccepire o quasi. Queste reazioni sarebbero comunque state relative, perché nel momento in cui io mi sento sicuro della mia proposta artistica, poi per me non esiste più che non si possa toccare De André. Mi sembra una grandissima cazzata, anche perché le canzoni non sono fatte per stare in un museo.
La canzone mi è sembrata molto diretta, come se avessi voluto dire: “voglio dire delle cose sul palco e le dico ripetendo ciò che è stato detto da De André”. Non tante volte si sente dire sul palco di Sanremo “Non ci sono poteri buoni” o “Ci hanno insegnato la meraviglia/Verso la gente che ruba il pane/Ora sappiamo che è un delitto/ Il non rubare quando si ha fame (…). Oltre che un omaggio è una cosa che hai anche rivendicato sui social, condividendo un bellissimo post sulla necessità dell’artista di dover esprimere una posizione e un’idea, soprattutto in un momento in cui anche i messaggi più radicali se immersi nel pop perdono peso. Ti senti un po’ nella necessità di rivendicare la tua figura autoriale o, più in generale, la figura autoriale in Italia? Siamo in un momento in cui manca il peso dell’autore in Italia?
Ti dirò la verità, non direi. Ci sono tanti autori di canzoni interessanti. Penso sia un momento storico molto interessante da questo punto di vista e credo che se la pensassi diversamente la rivendicazione si dovrebbe fare attraverso cose rilevanti, non a parole. Per quanto riguarda il post mi è sembrato necessario per il contesto, perché mi sarei sentito chiaramente un malfattore a non fare qualsiasi cosa a mia disposizione per evitare che quella canzone potesse essere disinnescata. Dentro quel contesto, super-popolare, anche leggero, c’era il rischio che quella cosa diventasse un po’ come Che Guevara sulle magliette. Avrebbe potuto, ma abbiamo fatto il possibile per evitare questo. Il confine è sottile.
La tua partecipazione a Sanremo ha visto un brano scritto con autori rilevanti come Niccolò Contessa, Pacifico. C’è stata l’apparizione di Vinicio Capossela per la prima volta a Sanremo. È una strada che pensi di percorrere, quella di collaborare con artisti di questo calibro? Ti piacerebbe ancora al di fuori del contesto sanremese avere una collaborazione con questi stessi autori nella scrittura delle canzoni oppure è stato una tantum?
È una cosa che mi interessa. In realtà noi non abbiamo scritto una canzone per Sanremo, stavamo lavorando su delle cose, su del materiale che avevo da parte e quindi tutta questa esperienza mi ha assorbito per molti mesi ma mi piacerebbe riprendere il discorso.
Contessa racchiude l’esperienza degli anni Dieci, del cosiddetto indie italiano che oggi sembra un po’ passato. Anche i tuoi ultimi pezzi sembrano molto seri e molto profondi. Forse la tua scrittura negli ultimi anni si è indirizzata verso un’altra via, lasciando da parte il surreale o gli aspetti naif del secondo e del terzo disco: è una scelta o è la vita che ti porta a scrivere altre cose?
Credo che sia una fase ed è una scelta che ha riguardato un disco che è “Poesia e civiltà”. Per me questa è una canzone d’amore ma mi sembra già in un ambito diverso dalle canzoni di quell’album perché è più spigolosa.
Certo, da “Cambio sesso per un po’” a “Tuo padre, mia madre, Lucia” ci sia anche un po’ di stacco e penso che tu sia anche questo. Il fatto che però sia uscito con un Greatest Hits significa che dobbiamo aspettare ancora per un nuovo disco di inediti? O come tanti affronterai un percorso di singoli per una carriera frammentata?
No, vorrei far uscire un disco di inediti, ci sto lavorando.
Quando possiamo immaginarlo?
Questo non posso dirlo per non prendere un impegno che non posso magari mantenere, non perché voglia mantenere un segreto. Questi mesi sono stati monotoni quindi adesso c’è da recuperare molto lavoro.