– di Riccardo De Stefano –
Per chi si fosse perso il Sanremo 2022, beh, è successo: Giovanni Truppi ha partecipato e ne è uscito molto bene, a testa alta. In gara con “Tuo padre, mia madre, Lucia”, il cantautore napoletano ha tirato fuori un piccolo gioiello, così lontano dallo standard televisivo, capace di raccontare tanto di un artista giunto ormai ai dieci anni di attività.
“Tuo padre, mia madre, Lucia” rappresenta un mondo molto “truppiano”, una canzone con tante parole e una musicalità obliqua. Certo, non un pezzo pop: c’è voluto anche coraggio nel portare questo brano a Sanremo, in un contesto dove spesso anche i migliori scivolano nel banale. Come ci vuole coraggio a portare a Sanremo De André, come fatto (benissimo) da Truppi in compagnia di Vinicio Capossela con la loro versione di “Nella mia ora di libertà”.
Insomma, il Festival della canzone italiana accoglie il più originale dei cantautori nostrani e l’esperimento, alla fine, è un successo per entrambi.
Finita l’avventura sanremese, Giovanni continua ad andare bene lanciando la sua prima raccolta, “Tutto l’universo”, per raccontare quello che è capitato e capita in capa a uno dei migliori autori italiani del presente. Ne abbiamo parlato con lui.
Partiamo dalla fine: l’Italia ha scoperto Giovanni Truppi e ora lo sta facendo con “Tutto l’Universo” che è un riassunto della tua carriera ormai pluridecennale. Com’è riassumere una carriera in un disco?
Non è stato così difficile in realtà. Ci abbiamo ragionato separatamente io, Marco Buccelli e la casa discografica e siamo convolati sulla stessa serie di canzoni che sono le più rappresentative e che per forza di cose sono anche quelle che le persone hanno più amato in questi anni. Io non sono mai felicissimo di riascoltare le mie cose, come molti, credo, ma tutto sommato non è stato così faticoso. Mi sembra che il modo in cui le abbiamo messe insieme sia efficace, cosa che non davo per scontata: i dischi sono molto diversi fra loro e non ero sicuro che questo percorso potesse funzionare. Facendo questo lavoro siamo abituati a confrontarci con lo stesso repertorio, ma è diverso trovare un collante tra le canzoni in un concerto, dando loro un vestito comune.
Hai detto che non sei felicissimo di riascoltare le canzoni. Parlando delle canzoni del tuo passato, cosa non ti rende felice? Ti senti più rappresentato da canzoni di dieci anni fa o è una questione di sound? Oggi le rifaresti diversamente?
Ma no, credo che sia una questione di sano disagio e basta, come per le persone che non si sentono a proprio agio a rivedersi in un video, o a riascoltare la propria voce, è un po’ di imbarazzo semplicemente. Poi è ovvio, ci sono un sacco di cose su cui posso dire “questo avrei potuto farlo così…” ma credo sia normale e credo che questa sensazione che ti ho descritto la provino in molti.
Soprattutto quando hai tanti dischi alle spalle, ci sono tante versioni di te. L’ultima che abbiamo visto è stata quella di Sanremo. Per molti è stata una novità, per molti – fra cui me – una sorpresa. Quando il tuo nome è stato annunciato fra i partecipanti di Sanremo, veniva il dubbio: “Sarà il Sanremo di Giovanni Truppi o il Giovanni Truppi Sanremese?”, perché le cose spesso non coincidono. Come ti sei rapportato in quel contenitore che, se mi permetti, non ti rappresenta?
A me non piace fare una questione su ciò che è peggio e cosa è meglio, tra l’altro mi sembra che all’interno di Sanremo ci siano tante cose diverse. Anche quest’anno c’era molta musica diversificata. Personalmente credo che la manifestazione in sé, in quanto show televisivo nonché collage di tante proposte artistiche e musicali, abbia una sua forza di gravità difficile contrastare; non nel senso di andarci contro, ma per non perdere il senso di raccontare chi sei a persone che non ti conoscono. Mi sono reso conto facendo questa esperienza che tante persone che non pensavo nemmeno l’avrebbero mai visto, hanno partecipato e anche con molto calore. Credo che nella pancia di ognuno di noi, di ogni italiano, per questioni storiche, ci sia qualcosa che ci lega al Festival di Sanremo, che è un po’ un totem. Forse anche quest’aspetto mi divertiva.
Sanremo rappresenta uno show sopra le righe, nel bene e nel male. Come ti sei trovato a doverti confrontare con l’apparire in televisione?
Sicuramente nel mio specifico settore artistico non mi sento rappresentato dal Festival di Sanremo, ma non so quale artista lo è pienamente; allo stesso tempo io credo di essere anche un uomo di spettacolo. Faccio il cantante in Italia e Sanremo rappresenta la musica italiana, seppure con qualche eccesso e qualche difetto. Quindi mi dovrei trovare a disagio a fare il musicista in Italia nel trovarmi in disagio a Sanremo. Ovviamente, sto estremizzando. Penso che sia stata un’esperienza un po’ impegnativa per me: sono abituato a fare il cantante in un certo modo e non sono abituato ad andare in TV. Poi sono abituato a raccontarmi lentamente e con un livello di attenzione e concentrazione da parte di chi mi sta di fronte che è difficile da ricreare in un contesto come quello del Festival di Sanremo, per delle caratteristiche tecniche, non di qualità. Anche la questione della canotta in realtà non mi ha creato problemi, perché nella mia bolla è stata gestita con garbo, anche da parte dei miei interlocutori. Sono un uomo di spettacolo, quindi probabilmente quello era l’unico modo per dialogare su un altro piano con lo show. Altrimenti, probabilmente, mi sarei tolto da quell’aspetto che a me però interessa.