Quando ci si ritrova a recensire un disco del genere, ci si sente stupidi. Perché se è pur vero che si tratta di musica, è anche vero che non si tratta di musica fino in fondo. E quindi non sai bene di cosa parlare. La cosa a dire il vero è pure fastidiosa. Per quale motivo si dovrebbe considerare musica qualcosa concepito con altre intenzioni, semplicemente perché c’è un sottofondo musicale? Un cantante non è un poeta con senso del ritmo. Le polemiche seguite al Nobel di Dylan lo dimostrano. Per fare il songwriter bisogna avere il potere di piegare il senso alla metrica. Piegare la metrica al senso, non è altro che fare un reading di letteratura. Per cui che si fottano il teatro-canzone e i teatranti musicanti. Andate al diavolo, nessuno ha bisogno di voi.
Giovanni Succi entra in questa categoria un po’ sì e un po’ no. Perché se è pur vero che in questo “Con Ghiaccio” sopravvive un’odiosa tendenza letterarieggiante, è anche vero che c’è un sacco di melodia. Anzi, il vero paradosso sta nel fatto che uno che ha scritto essenzialmente un album di teatro-canzone abbia allo stesso tempo uno dei migliori sensi della melodia in circolazione, nonché una delle migliori proposte musicali. Non mi focalizzo sui contenuti dei testi proprio per fare dispetto alle intenzioni dell’opera e per valorizzare un altro lato dell’autore, che magari passano in secondo piano. Le cose migliori dell’album, infatti, non sono gli sproloqui testuali, ma le stranianti atmosfere del blues acustico “Remo”, le ambizioni da suite di “Il Giro”, l’elettricità di “Tutto Subito” e di “Salva Il Mondo”, l’intimità di “Arriveremo In Pedalò” e il singolone “Con Ghiaccio”. Finalmente ricompare il blues nella musica italiana e finalmente lo fa per bene.
Ma se proprio dobbiamo parlare dei testi, a essere salvati sono sempre gli stessi già citati, quelli che si intrecciano meglio alle melodie, tutte azzeccatissime. Dal perfetto quadretto di “Remo”, in cui un Succi bambino scopre la musica grazie a un bagnino, alle rivendicazioni rock’n’roll di “Tutto subito”. Per il resto poco o niente. “Satana” e “Elegantissimo” erano risparmiabili. “Artista di nicchia” e “Bukowsky”, invece, menomale che ci sono. Perché se da un lato, sono pezzi che non fanno male a nessuno, dall’altro sono lo specchio di un imprinting che con la musica ha poco a che fare. Le recriminazioni intellettuali dell’autore sembrano stantie, vecchie, figlie di un mondo immobile. Quando in “Artista di nicchia” Succi fa la presa in giro del genio incompreso, lo fa in maniera anacronistica e riferita probabilmente a galassie artistiche distanti da quelle musicali (in cui il tema caldo, semmai, è quello di artisti che di nicchia non vogliono essere più). L’artista di nicchia di cui parla Succi, con molte probabilità non è un musicista, ma fa un altro mestiere (a meno che non sia lui stesso). E il controsenso è che trasporre queste paranoie intellettuali in musica, ha fatto diventare Succi stesso l’artista di nicchia da prendere in giro.
Per cui non ha molto senso stare qui a parlare sulla sostanza della musica di Succi, se è la forma stessa ad essere contraddittoria. Nell’album ci sono diversi aspetti da salvare e da valorizzare, ma non sono gli aspetti principali per cui si decide di ascoltare un album di Succi. “Con Ghiaccio” è un paradosso, ma questo alla fine, non so se è un complimento oppure un’accusa.
Giovanni Flamini