È uscito giovedì 3 giugno 2021 “Non credo in Dio”, il nuovo singolo di Giorgio Ciccarelli che rinnova la firma con Le Siepi Dischi e Believe. Un nuovo racconto tormentato ed elettronico che ci avvicina sempre di più alla pubblicazione del terzo album solista del chitarrista, cantante e compositore con la collaborazione del fumettista e paroliere Tito Faraci e del produttore Stefano Keen Maggiore (Immanuel Casto, Romina Falconi, The Andre). Un nuovo Giorgio Ciccarelli, un nuovo mondo, presto svelato. Ecco cosa ci ha raccontato!
Come nasce il brano “Non credo in Dio”? Si tratta di un pezzo provocatorio?
No, non vuole essere un pezzo provocatorio, non è nato con questa intenzione, anche se capisco che possa sembrare così o rischi di diventarlo. Per me “Non credo in Dio” è una canzone amara, dolente, anche piena di rabbia, ma una rabbia sana, quella che ti fa andare avanti e che ti dà consapevolezza e fede in te stesso, una specie preghiera laica rivolta al proprio io, intima e solitaria, una riflessione.
Ci troviamo una connessione con “Padre Nostro” de Il Teatro Degli Orrori. Ti vengono in mente altri brani italiani che parlano della fede cattolica
Sono andato a leggermi il testo di “Padre Nostro” e per quello che capisco, mi sembra sia un brano rivolto all’esterno, un pezzo di denuncia di ingiustizie, mentre “Non credo in Dio”, come ti dicevo, è più una riflessione interna, intima e personale. Effettivamente ho provato a cercare qualche brano che trattasse del tema, ma la ricerca non ha portato dei risultati rilevanti.
Quali sono gli anni Ottanta “giusti” che ti influenzano?
Be’, la narrazione che va per la maggiore riguardo gli anni Ottanta ed il loro recupero, riguarda soprattutto certo pop inglese guidato dai Duran Duran in giù. Ecco, i Duran Duran non mi sono mai piaciuti, gli Spandau Ballet li ho sempre trovati addirittura ridicoli, i Kajagoogoo imbarazzanti e via di seguito. Certo, è una questione di gusti, ma io, quando mi parlo degli anni Ottanta e dell’influenza che la musica di quegli anni, soprattutto inglese, ha avuto su di me, mi riferisco a band come The Sound, Joy Division, New Order, Siouxie and The Banshees, The Cure (fino a Pornography), Gang of Four, Wire… E potrei andare avanti per molto. In sostanza questi sono i “miei” anni Ottanta.
Com’è andata la tua collaborazione con Stefano Keen Maggiore e Tito Faraci?
Direi magnificamente| «Siamo una squadra fortissimi»! Io e Tito ci conosciamo da trentacinque anni, parliamo esattamente la stessa lingua quando si discute di musica e ormai siamo al terzo disco consecutivo. Se possibile l’intesa tra di noi è perfino migliorata, l’adesione di idee e di ideali è totale, quasi ci facciamo quasi paura… Questa volta poi, per alcuni pezzi, siamo addirittura partiti dai suoi testi per costruire la canzone, insomma direi che siamo piuttosto affiatati. Stefano Keen Maggiore è innanzitutto un amico di Tito, che ha avuto l’intuizione di capire che io e Stefano avevamo molto in comune, anche e soprattutto musicalmente, e ci ha presentati. E Stefano è stata per me una scoperta notevolissima, apprezzo molto il suo modo di “leggere” e di “vestire” le canzoni, riesce a mantenere un piede negli anni Ottanta (quelli giusti, appunto…) e uno nel futuro o per lo meno nel presente. E lo fa con una certa dose di personalità. Era esattamente il produttore che mi sarei augurato di trovare per questo nuovo disco.
Da cosa deriva la fusione di rock ed elettronica che ormai ti contraddistingue?
Direi che tutto è nato da un’esigenza, quella di cambiare la mia proposta live. Mi spiego meglio: dopo un cinquantina di date fatte con la band (che di base era rock: due chitarre, basso e batteria) a supporto del primo disco, Le cose cambiano, ho deciso di provare a proseguire il tour in duo, ma era lontana da me l’idea di andare in giro in acustico, magari con due chitarre e voce, volevo che lo spettacolo venisse recepito come un upgrade, non che sembrasse un ripiego, una versione cheap della precedente. E per proporre un live sempre d’impatto, ma con due persone in meno, ho pensato di farmi aiutare da macchine musicali, tipo synth, batterie elettroniche, loop machine ed altre diavolerie del genere. Con questi arnesi, io e Gaetano Maiorano (mio sodale musicale) ci siamo chiusi in sala prove e abbiamo riarrangiato tutti i pezzi, il tour è proseguito poi con una certa soddisfazione, facendomi capire, soprattutto, che quella era la strada giusta da battere per i miei futuri lavori e così è stato.
Qualche anticipazione sul nuovo disco?
Be’, è inutile negarlo, sarà un disco cupo e compatto, che risentirà pesantemente della situazione vissuta nell’ultimo anno e mezzo, sia musicalmente che a livello di testi. Il periodo è stato troppo invasivo per non aver rilevanza in quella che per me è e rimane sempre un modo per esprimere le mie emozioni.