– di Riccardo Magni.
Foto di Gian Marco Volponi –
È un venerdì 17 ed è un maggio che sembra novembre. Condizioni ideali per lasciarsi andare in un po’ di canzoni di merda con la pioggia dentro.
Ovviamente, qui nessuno è davvero scaramantico ed a questa cosa del venerdì 17, siamo seri, non ci crede nessuno. Però dirlo (e scriverlo) fa sempre un certo effetto. E un venerdì 17 di un maggio che per di più somiglia a novembre, sembra proprio il giorno perfetto, quello in cui nessun concerto sarebbe più adeguato di uno di Giorgio Canali.
Il suo tour, che segue la pubblicazione di “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”, fuori da ottobre 2018 per La Tempesta (guarda caso…) tocca Roma per la seconda volta e sempre al Monk, dove con i suoi Rossofuoco aveva suonato proprio in quel novembre che inconsapevolmente, sarebbe assomigliato al maggio di oggi.
La scaletta è variata un po’ rispetto ad allora e Canali ce lo aveva detto anche nell’ultima intervista (leggila qui): il repertorio ormai è vasto, hanno tanti brani tra cui scegliere e le scalette sarebbero variate. Chiaramente c’è spazio per le canzoni dell’ultimo disco, intervallate da altre meno recenti. Che tanto dal mazzo di Giorgio Canali e i Rossofuoco (Marco Greco – basso, Stewie Dal Col – chitarra, Luca Martelli – batteria), si pesca sempre bene.
Quello che si sprigiona dal palco poi, è un vero e proprio muro di suono, compatto, uniforme, che con il ritorno alla batteria di Luca Martelli, assente nella precedente data romana, ti arriva dritto addosso. Una batteria così potente, che sembra prendere quel muro di suono compatto e uniforme da dietro e spingerlo violentemente fuori. Te lo sbatte in faccia.
Giorgio Canali sul palco è sempre lui, sempre chitarra in braccio, beve vino, non si risparmia, parla col pubblico quanto basta e per il resto parlano i suoi pezzi. Del resto chi va ai suoi concerti sa cosa aspettarsi e sa che sarà difficile cantare, perché Giorgio come sempre si diverte a cambiare le metriche delle sue canzoni in una divertente sfida continua con il suo pubblico, che si palesa in quel “prova a starmi dietro mentre canto” pronunciato al solito sostituendo un verso di Precipito. Pubblico che in ogni caso non demorde, raccoglie la sfida ed in un’occasione la vince senza appello, urlando in faccia a Canali alcune parole di Nuvole senza Messico in una maniera che gli fa ammettere sorridendo “mi avete spiazzato”.
Così, tra nuove e vecchie canzoni, un’accorata Mandate bostick eseguita senza basso e batteria, qualche accenno di vita privata introducendo Mostri sotto al letto (“ci sono canzoni che scrivi in certi momenti che poi dopo anni sono sempre così attuali…”), le sue testate al microfono che lo fanno sanguinare ed un’apprezzatissima Lettera del compagno Lazlo al colonnello Valerio (che in molti acclamano più semplicemente come “Non dovevamo fermarci”, erroneamente chiaro, ma il concetto è quello) si arriva in fondo all’ennesimo concerto meraviglioso di Giorgio Canali e i Rossofuoco.
L’ennesimo concerto di quelli che dispiace veder finire ma che lasciano soddisfatti e sazi, di quelli in cui chiaramente non si fa il bis perché “è una cazzata liturgica”, ma si saluta e si ringrazia il pubblico dicendo “è sempre una figata suonare a Roma”, perché è chiaro a tutti che sia stato l’ennesimo concerto in cui si è dato tutto, sia sul palco che sotto.
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