– di Roberto Callipari –
Se pensiamo alla musica alternativa italiana non possiamo non pensare anche a Giorgio Canali. Autore, musicista, produttore, scopritore di talenti e disegnatore di mondi, Giorgio Canali è stato fra quelle personalità che nelle sue varie esperienze ha segnato una via, che ha trovato una strada e ha saputo illuminarla. Penso che, indipendentemente dai gusti di ognuno, è innegabile l’impatto di band come CSI, PGR e, soprattutto, CCCP (che proprio in questo periodo celebriamo con una mostra e diverse altre iniziative a loro dedicate) nel nostro panorama musicale, e in tutto ciò – ma anche in molto altro – Canali c’era, segnando un’epoca e preparando una nuova generazione a un percorso diverso da quello istituzionale ed istituzionalizzato. La sua vita si è composta di mille vite artistiche (fate un rapido check su Wikipedia o Rate Your Music se non ci credete), e in quest’ultima, coi fedelissimi Rossofuoco, ha rilasciato un nuovo album il 13 ottobre, “Pericolo Giallo”, un viaggio col solito Giorgio Canali per non essere mai immobili, ma per ritrovarci in un mondo che ci si sfalda fra le dita e sotto gli occhi. Abbiamo la possibilità di chiacchierare con lui, per sentire la sua voce oltre la musica, e capire cosa è stato questo nuovo lavoro e che vita avrà.
Come racconteresti tu “Pericolo Giallo”?
Ti posso dire che è “Venti” 2.0, semplicemente. Siccome il 99.9 % delle stronzate affrontate nello scorso disco – parlo delle tematiche del sociale, del politico, del mentale – non si sono affatto risolte, ma anzi, credo che l’universo che ci sta attorno sia anche peggiorato, c’era bisogno di approfondire il discorso. Lo so che dico sempre che il mondo non cambia mai, ed è vero, però quel poco che cambia cambia in peggio, ed era naturale per me, a livello di scrittura di testi, fare il lavoro che abbiamo fatto in “Pericolo Giallo”. Riassumendo: tutto quello che c’è in Pericolo Giallo è quello che non si è risolto in Venti, ovvero TUTTO, perché non c’è niente che si sia risolto da quando è uscito Venti in poi, ovvero dal 2020 ad oggi.
È impossibile, infatti, non notare quanto sia presente l’attualità nel disco.
Ma è normale! “L’attualità” poi: l’attualità è sempre di rimpallo, di rimando, perché non sto certo aggiornato sui giornali e telegiornali tutto il giorno, tanto la maggior parte delle volte son delle veline scritte da gente compiacente che è lì perché c’è un sistema che, in qualche modo, li fa campare. Però quello che succede attorno lo vedo, lo sento e cerco di interpretarlo col mio senno, che non è il senno di poi, ma il senno di chi è molto interessato a quello che è la storia in generale, e la storia magari non ci fa prevedere cosa succederà, però ci può insegnare a non prendere cantonate, e qui ne stiamo prendendo tantissime, mi pare.
Pensi che la tua musica sia più un rock prestato al cantautorato, soprattutto in questo ultimo album, o più un cantautorato che si fa rock?
È innegabile che nella nostra musica ci sia del rock, anche abbastanza classico e figlio di un universo che comprende Neil Young e Lou Reed. È chiaro che c’è anche della canzone d’autore, potreste chiamarla così anziché cantautorato, non perché mi senta Autore con la A maiuscola, ma semplicemente perché “cantautore” è un termine prettamente italiano mentre, in generale, mi sento più un songwriter, dato anche il significato della parola, ovvero un autore di canzoni che canta i suoi pezzi. “Cantautore” mi sembra una definizione talmente spaghetti-western che boh… sì, mi ci riconosco per forza di cose, mica posso dire di esser diverso dagli altri, però mi sembra troppo facile ora. Poi è vero che in Italia c’è stato e c’è tutt’ora una bella onda di musica con una scrittura dei testi bella pregnante… Per fortuna esiste! Ma io ci metto anche un bel po’ del panorama hiphop italiano, soprattutto romano, perché il “songwriting” non è solo “cantautorato”. Ci sono delle persone che da vent’anni stanno scrivendo cose molto belle, anche in quell’universo sonoro lì: prendi Rancore o Mezzosangue, gente che sa scrivere! Ma anche Lucio Leoni è un altro artista che prende un po’ dall’hiphop, anche se fa cose anche molto diverse, e anche lui è un gran figo!
Parlando allora della tua scrittura, visto che abbiamo toccato il tasto dell’hiphop, che è caratterizzato da una grande urgenza, si può dire che anche in “Pericolo Giallo” si percepisce questa necessità, come nei lavori precedenti, e a colpire è il fatto che si senta ancora tanta urgenza dopo dieci album da solista, più ovviamente tutta la tua storia precedente nei vari progetti.
C’è ancora tanta merda attorno! [ride, nda] Potrei cantarti un pezzo dei Matia Bazar: “C’è tutta una merda attorno…” ecco, è uguale. C’è talmente tanta merda attorno che poi non puoi evitare. Ti metti a fare delle cose, a scrivere delle canzoni, e parli di altre cose? Secondo me sei complice. È grossa questa eh?
No beh, però sarebbe interessante capire meglio la funzione e il lavoro della musica ad oggi per Giorgio Canali.
Stare sveglio. Cercare di svegliare qualcuno. Non tipo testimoni di Geova, ma nel senso che se uno stralcio di una mia canzone fa riflettere qualcuno io sono felice. Se la frase arriva a cervello e cuore sono felice. La rivoluzione non si fa con le canzoni. Come ripeto spesso, visto che mi si chiede spesso se la musica può cambiare il mondo, dieci o quindici anni di canzone di protesta americana non hanno riportato a casa gli americani dal Vietnam, al limite hanno fatto sì che qualcuno abbia disertato. Gli americani a casa dal Vietnam ce li ha portati Nixon, e di certo non è stato Dylan o Joan Baez. Però se la musica fa ragionare ben venga.
A fronte della tua esperienza nel mondo della musica e nell’ambiente musicale nazionale, qual è la tua percezione dello stato di salute della scena italiana?
Mah, è malata come sempre e in grande salute come sempre: dipende da che parte fai il buco e da che parte fai uscire la musica italiana, tutto lì. Ci sono cose fighissime e un sacco di merda, ma un sacco di merda c’è sempre stata. Ma questo da sempre, pensa agli anni Settanta: c’era un sacco di merda ma c’era un sacco di roba valida come poteva essere De Gregori, Claudio Lolli, Finardi, De André, anche Dalla a modo suo e in maniera piuttosto obliqua… Però allo stesso tempo c’era un’ammucchiata di merda terrificante, e quella c’è sempre stata, negli Ottanta, Novanta, Zero, Dieci, Venti…
Pensi che ad oggi la scena sia manchevole per qualche ragione rispetto al passato?
Mah, non credo, anche perché delle figure di spicco ci sono, poi che possano piacere o meno… I Verdena sono un grande gruppo, Agnelli è un grande solista e gli Afterhours sono un grande gruppo, a modo loro i Marlene Kuntz sono validi, un po’ vecchiotti, diciamo così, però restano validi. Il Principe dove lo metti? Dove cazzo sta il Principe, De Gregori? È sempre più in alto di tutti dopo tutti questi anni, dai. Gli si perdona anche la tournée con Venditti dai…
Una cosa che sento di doverti chiedere riguarda la reunion dei CCCP: come l’hai vissuta?
Reunion? È diventata per caso una reunion, ma non credo dovesse esserlo. A un certo punto tutti spingevano per avere sul palco Giovanni che fa le cose che ha sempre fatto, anche da solo, perché lui continua a fare “A cuor contento” in giro per l’Italia, e non credo che la serata fosse molto diversa, se non che sul palco c’erano Annarella, Fatur e Zamboni in più, visto che i musicisti che suonano con Giovanni sono gli stessi che erano lì quella sera. Non la chiamerei “reunion”, la chiamerei “bella occasione per celebrare un anniversario, per far uscire un documentario, un libro”… Se poi volete chiamarla “reunion” fatelo, però secondo me è un po’ svilente, perché l’ho percepita come una roba diversa, una celebrazione molto figa, anche se purtroppo non c’ero per ragioni personali.
Quindi immagino tu sia contento della partecipazione che c’è stata.
Certo che son contento, cazzo. Son contento soprattutto perché il giorno in cui ha aperto la mostra io ero a Correggio a fare un concerto in solitaria, e il direttore del teatro, che è un mio amico da sempre ed è anche un amico carissimo di Massimo e di Giovanni, è arrivato dicendomi: “ti porto l’abbraccio di Giovanni”. Questa cosa m’ha fatto molto piacere e sono contento che sia andata bene la loro serata. Però non chiamatela “reunion” che le fanno le band sfigate che non sanno cosa fare.
È solo un ritorno allora
Un ritorno sul palco, esatto, e sono sicuro che la cosa, per chi provava emozioni ascoltandoli, sia stata molto bella. Mi hanno detto che la mostra è molto bella.
Tornando a “Pericolo Giallo”, com’è lavorare a un nuovo album dopo tanti anni che si fa questo mestiere?
Figo! Questa cosa è venuta fuori in maniera molto strana: ci stavamo crogiolando nel fatto che “Venti” ci piacesse molto e ci piacesse suonarlo dal vivo e tutto quanto. Poi a un certo punto, alla fine dello scorso anno, mi è stato chiesto un pezzo per una compilation che celebrava il 25 aprile e la Resistenza ma, siccome sono un cazzone, ho aspettato fino all’ultimo per scriverlo e registrarlo, e visto che non potevamo vederci in studio per registrarlo perché ognuno abita “a casa di Dio”, lo abbiamo registrato a distanza per rispettare le scadenze, l’abbiamo spedita e ci è ritornata indietro, dicendo che forse avrebbe potuto infastidire qualcuno. Allora abbiamo deciso di costruirci un disco attorno, e in 40 o 50 giorni al massimo abbiamo scritto tutto l’album, semplicemente. Non c’era urgenza di farlo, ma tanto il calderone da cui pescare le idee ce l’abbiamo attorno e fa cagare, fa veramente cagare, quindi alla fine le cose vengono fuori; musicalmente poi andiamo a memoria, la nostra non è musica di ricerca, ma rock’n’roll abbastanza di base, quindi ci viene da solo.
E ora sei anche in tour a suonare il nuovo album.
Siamo partiti da Torino, all’Hiroshima Mon Amour, fra un po’ saremo a Firenze, al GLUE, e poi il 9 novembre saremo a Roma al Monk. Lo stiamo suonando tutto il disco, dodici canzoni da cui partiamo per il live, poi quelle che ci vengono peggio magari col tempo le tagliamo fuori se non funzionano nella scaletta.
Com’è il tour dopo tanto tempo?
Mah guarda, non smettiamo mai di essere in tour. Io faccio album e scrivo musica per poter poi fare i concerti. Mi annoio in studio, ma anche a casa – che è praticamente uno studio, mi annoio mortalmente. La cosa che mi spinge a scrivere canzoni nuove è poterle portare dal vivo. Il concerto mi mantiene vivo e fa sì che non mi senta un 65enne che non sa che fare della vita.
“Pericolo Giallo” è il nuovo disco di inediti di Giorgio Canali & Rossofuoco uscito per La Tempesta che, con dodici nuovi inediti, racconta tutte le contraddizioni e problematiche del nostro presente, scavando per smuovere dalle fondamenta le coscienze, nella speranza che il futuro non sia poi così una merda.