– di Yna –
Alla serata all’Asino non potevo mancare, per cui, dopo aver ascoltato alcuni brani del disco in versione acustica accompagnata anche da Luca Carocci e aver goduto del magico e complice duetto con Avincola, mi sono avvicinata al suo cappotto leopardato per chiederle alcune cose. Ci siamo sedute in un angolino, l’aria umida e penetrante, la gente affamata di rapporti e vicinanze. Lei c’è.
“Mostri”, una doppia lettura di te e della tua persona, il tuo essere molto trasparente e profonda allo stesso tempo. Qual è stato il percorso che ti ha portato a scrivere questo album e quanto di te c’è della vecchia Giorgia?
Io credo ci sia il 100% della vecchia Giorgia. Nonostante questo disco sia molto diverso a livello stilistico io penso sia la prosecuzione naturale di ciò che ho fatto fino ad ora, anche perché credo di non essere mai stata centrata nel secondo album, mi sento un po’ estranea soprattutto a livello di arrangiamenti. Con questo album, complice soprattutto il tempo e il fatto che io mi sia esposta di più a livello di produzione, credo ci sia tutta me stessa, la Giorgia degli ultimi 4 anni che adesso compie trent’anni e arriva a una nuova consapevolezza. Noi degli anni Novanta ci immaginavamo in un certo modo a 30 anni, principalmente sposati e con i figli; c’è da dire che io non ho disatteso nessuna aspettativa perché nel tempo ho capito che ognuno ha il suo percorso, e quello che volevo raccontare è proprio questo, è un percorso di consapevolezza. Io so chi sono in questo momento, questo non vuol dire che io so come sarò nel prossimo album, però per la prima volta so che ho fatto un album che fotografa davvero chi sono io adesso. Sapevo che attraverso questo terzo album avrei dovuto dimostrare qualcosa, cioè di non aver paura di continuare a seguire la musica che ho in testa. I miei album sono sempre stati coraggiosi, ho cercato di ascoltare sempre quello che volevo io e allo stesso tempo ciò che fosse accessibile al pubblico, a differenza di altri album che sono un po’ un diario segreto. Nel tempo sono riuscita a instaurare un grosso rapporto con il pubblico, e sono riuscita a farlo perché so chi ho dall’altra parte; se c’è una cosa bella è che il mio pubblico lo conosco quasi tutto. Siamo entrati in connessione, non ho mai perso nessuno per strada e non ho mai indietreggiato. Chi mi segue lo sa.
Stasera hai sfondato la quarta parete. Secondo te qual è la funzione del live nella musica e quanto dobbiamo custodire questo aspetto contro un’evoluzione tecnologica all’interno del concetto del live imposta anche dalla pandemia?
Io credo che purtroppo il valore della musica si sia abbassato tanto da quando è diventata gratuita, perché come tutte le cose quando ce le hai sempre a portata di mano perdono di valore; per noi artisti è molto controproducente, nel mondo odierno quindi il live ha veramente molto peso, tuttavia ci sono artisti che fanno molti numeri ma non hanno mai fatto un live, e per me quella è la prova del nove. Se rimani, è perché sai affrontare un palco, puoi avere tutti gli stream che vuoi ma se non riesci ad aggregare cento persone in un locale, c’è un problema. Per me l’idea di poter mettere 200 persone in un locale con quello che faccio, è fondamentale; la cosa che è triste è che su internet è tutto falsato, basta entrare in playlist e avere l’etichetta giusta, ma questa cosa è demoralizzante perché non sempre riesci ad avere le conoscenze adeguate. Il live è il banco di prova nonostante tutto, e se riesci a entrare in contatto con le persone e dimostri di essere un professionista, nella lunga distanza vieni ripagato. Nel mio piccolo sono contenta di continuare a fare musica dopo 10 anni ed avere qualcuno che investe su di me.
Stasera hai citato Pj Harvey: “Io non voglio pormi il problema di essere donna quando suono”.
Le persone con cui ho lavorato raramente mi hanno fatto pesare di essere una donna però nel momento in cui ho dovuto ricostruirmi e trovarmi una nuova etichetta, mi sono scontrata con quella frase tipo “abbiamo già una donna nell’etichetta”. Ci sono mille progetti maschili, perché noi donne dobbiamo avere un genere dedicato quando nessuna di noi fa lo stesso genere? Non capisco questo ghettizzare, per questo io continuo a lavorare, a parità di competenza, con donne, perché purtroppo abbiamo meno possibilità. Se io posso chiamare una donna per le aperture, una donna che mi fa lo styling, una donna che fa l’ufficio stampa, una donna che mi fa da produttrice, una donna che mi fa da fonico, e spero di arrivarci ad avere tutte queste donne nel mio team, lo faccio, ed è per questo anche che l’artwork del disco è fatto da donne, il mio management è tre quarti donne. Ho anche scelto uomini che non mi fanno pesare questa cosa. Se posso scegliere, scelgo una donna o comunque una persona di una categoria marginalizzata perché ha meno possibilità. Io non sono nessuno ma nel mio piccolo scelgo di dare possibilità a qualcuno perché qualcuno l’ha fatto con me. È troppo facile fare discorsi femministi e poi non fare nulla nel pratico. Tutto quello di cui parlo e ciò che penso lo voglio applicare al mio lavoro perché è la cosa più visibile che ho.
A quale musicista del passato faresti suonare “Mostri”?
Mi hanno paragonato tantissime volte a Jeff Buckley, ma un disco come “Mostri” lo farei cantare a Davide Bowie, e “Anima in Piena” la canterei insieme a Janis Joplin.
Il concerto Giorgia l’ha cominciato con “Maledetta”, poi ha continuato con il brano che ha dato il nome al disco “Mostri”, ma anche “Holliwoo”, la malinconica “Gilda”, infine “Non ballerò”. Un sapore tutto nuovo suonato con la chitarra acustica, senza il riverbero ovattato alla Lana Del Ray del disco, in cui i riferimento al mondo ultraterreno dei “Mostri” e della sua “Anima in piena” viene messo in sordina, lasciando spazio ai messaggi e alle parole; un gain che si adatta alle aperture, una chitarra che si accorda man mano e che sente le vibrazioni, i sorrisi che esplodono nelle chiusure della complicità con Carocci e con Avincola, con cui ha eseguito il singolo “Limone” uscito questa estate. Un palco per tutti, un posto per tutti, la musica, per quelli che sanno viverla live, per quelli che arrivano con le mani, con gli occhi e con la voce.